La Settimana Internazionale

Europee, Von der Leyen alla caccia del bis che agita il governo italiano

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La campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo il prossimo 6-9 giugno è entrata nel vivo con l’ufficializzazione della ricandidatura alla presidenza della Commissione Ue di Ursula Von der Leyen. Al congresso di Bucarest dei Popolari europei tenutosi ieri, 7 marzo, i partiti affiliati alla famiglia popolare hanno dato via libera al bis della spitzenkandidatin con 400 sì, 89 voti contrari e 10 non validi.

Non certo un plebiscito, peraltro mai preso in considerazione dalla diretta interessata (hanno scritto no tra gli altri gli sloveni e soprattutto i 23 componenti gollisti francesi, che hanno votato contro per il semplice fatto che a sostenerla è il presidente Emmanuel Macron), ma nemmeno una sorpresa essendo Von der Leyen l’unica candidata in lizza.

La vera sorpresa, se così vogliamo considerarla, è il cambio di passo nella narrazione del programma elettorale della numero uno della Commissione europea, cambio di passo che le è valso il plauso di Forza Italia – unico partito tricolore nel Ppe – e che ha rafforzato invece i mal di pancia della Lega, costringendo così la maggioranza del governo italiano a un nuovo fronte interno.

Il Carroccio a Bruxelles fa parte della coalizione Identità e Democrazia che comprende i tedeschi dell’AfD e soprattutto il Rassemblement National di Marine Le Pen, ed è contro di loro («Populisti, nazionalisti e demagoghi») che in particolare si è scagliata con insolita veemenza verbale la Von der Leyen:

«I nomi possono essere diversi ma l’obiettivo è lo stesso: vogliono calpestare i nostri valori e distruggere la nostra Europa»

ha detto. Storicamente considerata da una buona parte del Ppe “troppo di sinistra”, Von der Leyen ora dovrà andare a caccia del consenso della parte più conservatrice dei popolari, strategia già cominciata per esempio con una profonda revisione (quasi un mea culpa) delle politiche sul Green Deal:

«A differenza di altri, noi siamo per soluzioni pragmatiche e non ideologiche sul Green Deal Europeo»

ha chiosato la candidata comune del Ppe, quasi rivendicando la retorica della destra europea contro l’ex-vicepresidente socialista della Commissione Ue, Frans Timmermans:

«Noi del Ppe sappiamo che non c’è economia competitiva senza protezione del clima e non c’è protezione del clima senza economia competitiva»

ha continuato Von der Leyen. «Siamo stati i primi a progettare il Green Deal in modo sociale, industriale ed economico». Miele per le orecchie del leader di FI Antonio Tajani: «Mi ha convinto – ha osservato il ministro degli Esteri italiano – perché nel suo discorso non c’è più traccia degli errori commessi dalla Commissione con la presenza di Frans Timmermans e di una parte di quel fondamentalismo ambientalista che è stato dannoso, e dannoso per la nostra economia. Pensiamo – ha proseguito Tajani – al blocco della produzione di auto non elettrica nel 2035 che in Italia causerà la perdita di 75mila posti di lavoro. Quello è stato un errore della Commissione. Anche sul regolamento sugli imballaggi ci sono stati errori; fortunatamente la Commissione poi, alla fine, ha deciso di fare marcia indietro per quanto riguarda la normativa sulla riduzione dei pesticidi». Insomma, Tajani è chiaro:

«L’abbiamo sostenuta perché ha dato delle indicazioni, sposando il manifesto del Ppe in materia di politiche agricole, di politica industriale, ambientale che vanno nella nostra direzione»

Infine, conclude il vicepremier, ci saranno i commissari espressi dai Popolari «a vigiliare» che tutti gli altri non facciano l’esatto contrario di quello che la Von der Leyen dovesse decidere.

L’altro grande tema su cui Von der Leyen sembra aver ingranato un cambio di rotta è quello sulle politiche migratorie europee:

«Decidiamo noi chi entra in Europa, non i trafficanti»

ha tuonato, mettendo così a segno un ulteriore avvicinamento con la premier italiana Giorgia Meloni, anche presidente dell’Ecr, il Partito dei Conservatori e Riformisti Europei, una delle famiglie politiche dei cui voti avrà senz’altro bisogno. Una “comune visione” che rappresenta un notevole balzo in avanti rispetto a quella già sperimentata tra le due leader dopo il naufragio di Cutro e la visita a Lampedusa nel settembre dello scorso anno. Sull’immigrazione, però, e non poteva essere altrimenti, si consuma la spaccatura netta tra le posizioni dell’esecutivo italiano, come si legge nella nota della Lega diffusa subito dopo il congresso:

«A distruggere l’Europa sono le politiche folli di questa sciagurata e sinistra Commissione» che «non ha fatto nulla per contrastare l’immigrazione clandestina e l’estremismo islamico»

Poi, l’ennesimo distinguo che segna l’allontanamento dalla posizione degli alleati di governo: «Ha lavorato per rovinare gli agricoltori italiani ed europei». Un attacco ad alzo zero che tradisce il timore di rimanere isolati in Europa e di uscire pesantemente ridimensionati dai prossimi appuntamenti elettorali italiani (le regionali in Abruzzo di domenica prossima in primis). Nelle complesse alchimie politiche che stanno preparando il terreno alle elezioni di giugno sembra dunque che la sfida ufficiale sia quella tra popolari e socialisti; in realtà sarà quella tra moderati riformisti e conservatori e gli estremisti sotto il cappello di Identità e Democrazia, con i primi che saranno comunque costretti a guardare più a destra di quanto non sia mai stato fatto finora.