La Settimana Internazionale

Fronda a Strasburgo contro il Green Deal: agricoltura nel mirino

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di Lorenzo Consoli

Le forze politiche di centro e di destra nel Parlamento europeo hanno lanciato una “offensiva di primavera” contro il Green Deal della Ue. Il piano e il terreno di battaglia, le alleanze e gli obiettivi strategici sono stati discussi e approvati dal maggiore partito europeo, il Ppe, durante la sua “Assemblea politica” svoltasi a Monaco di Baviera il 4 e 5 maggio. Il nemico principale, oltre alla sinistra, ai Verdi e alle Ong ambientaliste, è stato individuato nella Commissione europea, nonostante il fatto che sia guidata da una presidente appartenente anch’essa al Ppe, Ursula von der Leyen.

Mentre negli altri settori (energia, industria, trasporti e mobilità, edilizia, rifiuti ed economia circolare), e soprattutto riguardo alle politiche climatiche, i negoziati sulle proposte normative nel quadro del Green Deal sono andati avanti producendo, o prospettando, una serie impressionante di accordi tra i co-legislatori, nel settore agricolo (e della pesca) le resistenze sono state fortissime fin dall’inizio, e hanno vistosamente frenato le trattative.

L’attacco sferrato ora dal centrodestra riguarda in particolare due normative che la Commissione aveva proposto contemporaneamente, definendole “pionieristiche”, il 22 giugno dell’anno scorso: i regolamenti Ue sul ripristino degli habitat naturali e sull’uso sostenibile (e riduzione) dei pesticidi.

La prima proposta assegna a tutti gli Stati membri obiettivi giuridicamente vincolanti per il ripristino della natura in vari ecosistemi, per almeno il 20 % delle superfici terrestri e marine entro il 2030, e poi per tutti gli ecosistemi con habitat degradati entro il 2050. Gli Stati membri dovranno elaborare dei “Piani nazionali di ripristino” per il conseguimento degli obiettivi, con un sostegno di circa 100 miliardi di euro finanziato dal bilancio comunitario pluriennale. Il regolamento punta, tra l’altro, a invertire il declino delle popolazioni di api e di altri impollinatori entro il 2030; a tutelare e aumentare gli spazi verdi urbani, con una copertura arborea minima del 10 % in ogni centro; ad aumentare la biodiversità negli ecosistemi agricoli e forestali, aumentando le popolazioni di farfalle e di uccelli. Altri obiettivi riguardano il ripristino delle torbiere drenate a uso agricolo, degli habitat marini e delle zone umide, e l’eliminazione delle barriere fluviali, in modo che almeno 25mila chilometri di fiumi tornino a flusso libero entro il 2030.

La seconda proposta fissa l’obiettivo vincolante di ridurre del 50% l’uso e i rischi dei pesticidi chimici, entro il 2030. Gli Stati membri decideranno i propri obiettivi nazionali di riduzione entro parametri stabiliti per garantire il conseguimento di questo traguardo a livello Ue. Prima di poter utilizzare pesticidi chimici, come misura di ultima istanza, gli agricoltori dovranno adottare le pratiche di difesa integrata, con metodi ecologici alternativi di prevenzione e controllo degli organismi nocivi. L’uso dei pesticidi sarà comunque vietato del tutto nelle zone sensibili: giardini pubblici e aree verdi urbane, parchi giochi, scuole, campi sportivi, sentieri pubblici, zone protette Natura 2000 e le aree dedicate a preservare gli impollinatori. Gli Stati membri dovranno presentare alla Commissione delle relazioni annuali dettagliate sui progressi compiuti e nell’attuazione del regolamento. Ed è anche previsto che gli agricoltori ricevano una compensazione dalla Pac (Politica agricola comune) per tutti i costi connessi all’attuazione delle nuove norme, per un periodo transitorio di cinque anni.

Entrambe le proposte sono menzionate in una risoluzione approvata dall’Assemblea politica del Ppe, che boccia la prima come “irresponsabile”, perché richiederebbe di sottrarre alla produzione agricola il 10% dei terreni oggi coltivati (questo è in realtà un obiettivo della Strategia Ue per la Biodiversità al 2030); e giudica «semplicemente non fattibile» la riduzione del 50% dell’uso dei pesticidi, affermando che «non è il momento di mettere in pericolo la sicurezza alimentare in Europa». Il leader del Ppe, il tedesco Manfred Weber, ha chiesto alla Commissione di prevedere una “moratoria di due anni per le nuove iniziative normative che mettono più oneri sugli agricoltori e mettono a rischio la sicurezza alimentare”.

Oltre al Ppe (176 seggi su 705 in totale), chiaramente schierato su questa trincea c’è anche il il gruppo conservatore Ecr (66 eurodeputati, compresi gli eletti di FdI), più almeno un terzo del gruppo euroliberale “Renew” (101 seggi). Un portavoce di Renew ha affermato che le due proposte dovrebbero essere sostenibili anche dal punto di vista sociale ed economico, non solo ambientale.

La strategia del Ppe di Weber è puntare a un’alleanza organica con l’Ecr, cercando di attrarre su questi temi anche, al centro, i liberali di Renew (in particolare tedeschi e olandesi), ottenendo anche l’appoggio esterno della formazione di estrema destra Id (Identità e Democrazia, 62 eurodeputati, tra cui gli italiani della Lega), mettendo così probabilmente fine al “cordone sanitario” che ha sempre escluso questo gruppo dai negoziati legislativi.

In prospettiva, ci sono le elezioni europee del 2024, che potrebbero segnare la vittoria di questa alleanza e quindi una nuova maggioranza nell’Assemblea di Strasburgo, incentrata sul Ppe e l’Ecr (con l’appoggio di Renew), invece che su Ppe, Socialisti e Renew (con l’appoggio esterno dei Verdi), come è stato finora.

Nel frattempo ci saranno diverse elezioni politiche nazionali (in Grecia a luglio, in Polonia in autunno, in Spagna a dicembre) in cui il Ppe spera continui a montare l’ondata che ha visto i conservatori e la destra vincere a settembre in Italia e Svezia e in aprile in Finlandia. Un segnale molto importante, poi, è quello venuto dalle elezioni provinciali in Olanda, a marzo, con l’affermazione clamorosa del “Movimento civico contadino” (contrarissimo, neanche a dirlo, alla riduzione dei pesticidi).

Il Ppe e i suoi alleati mirano ad arrivare al voto europeo senza accordi sulle due proposte, sperando che le normative siano bloccate, o cambiate radicalmente, da una nuova maggioranza di centro destra al Parlamento europeo, e dai nuovi governi conservatori in Consiglio Ue.

Questa tattica sarà probabilmente applicata anche a un’altra proposta della Commissione (del febbraio scorso) riguardante gli ecosistemi marini, che vieterebbe in particolare, entro il 2030, la pesca di fondo con le reti a strascico nelle aree Natura 2000 della direttiva Habitat (l’Ue “affonda 3.000 pescherecci”, è il titolo di un comunicato di Coldiretti Impresapesca del 6 maggio scorso).

Un altro terreno di scontro, infine, è la direttiva sulle emissioni industriali (ribattezzata, sempre da Coldiretti, “direttiva ammazza stalle”), per quanto riguarda la sua applicazione agli allevamenti intensivi. Questa direttiva, proposta dalla Commissione nell’aprile 2022, definisce delle soglie massime per il numero di animali allevati (diverse a seconda che si tratti di bovini, suini o pollame) oltre le quali gli stabilimenti verranno considerati di tipo “industriale”, e quindi sottoposti a regole più strette sulle emissioni. In questo caso i negoziati legislativi sono già molto avanti, ma sia la commissione Agricoltura del Parlamento europeo sia il Consiglio Ue hanno proposto delle soglie per il numero di animali allevati molto più alte di quelle previste dall’Esecutivo comunitario.