La Settimana Internazionale

Grandi manovre dietro le quinte sull’addio ai motori termici

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di Lorenzo Consoli

A fine febbraio sembrava cosa fatta: il 14 il Parlamento europeo aveva già approvato, con 340 voti favorevoli, 279 contrari e 21 astensioni, la proposta di regolamento per la riduzione delle emissioni di CO2 delle autovetture e dei veicoli commerciali leggeri di nuova produzione, con l’obiettivo finale emissioni zero per il 2035.

Dopo il via libera della plenaria di Strasburgo, il voto finale del Consiglio Ue doveva essere una pura formalità, visto che gli Stati membri si erano già espressi a favore dell’accordo. Sia la Germania che l’Italia avevano sottoscritto il testo (per l’Italia lo aveva negoziato il governo Draghi, ma la firma finale in ottobre è stata del governo Meloni). Al Parlamento europeo, d’altra parte, era fallito un tentativo del Ppe di limitare la riduzione delle emissioni al 90%, invece del 100%. L’accordo, tuttavia, su insistenza soprattutto dei tedeschi, aveva aggiunto al testo due emendamenti che sono diventati oggi cruciali.

Tra il 28 febbraio e il 3 marzo invece è cambiato tutto, con l’annuncio dell’opposizione del governo italiano e della probabile astensione del governo tedesco al voto formale finale sul regolamento. A seguito del mancato appoggio di due dei maggiori Stati membri, e del voto negativo preannunciato dalla Polonia e all’astensione della Bulgaria, la presidenza di turno svedese ha dovuto prendere atto che non c’era più la maggioranza qualificata necessaria per l’approvazione, e ha rinviato il voto finale a data da destinarsi.

La stampa ha generalmente descritto il regolamento come una messa al bando “de facto” dei motori endotermici a benzina e gasolio, e l’imposizione della loro sostituzione con i motori elettrici. In realtà, in omaggio al principio di neutralità tecnologica, il regolamento menziona solo (all’articolo 1, paragrafo 5 bis), l’obiettivo della riduzione del 100%, rispetto al 2021, delle emissioni medie del parco di autovetture e di furgoni commerciali nuovi, entro il primo gennaio 2035: un obbligo di risultato, quindi, non l’imposizione di una particolare tecnologia.

Che cosa succede ora? È in corso un difficile negoziato tra la Germania e la Commissione, che riguarda uno degli emendamenti inseriti nell’accordo tra Europarlamento e Consiglio: si tratta del considerando 11: «Previa consultazione dei portatori di interessi – si legge nel testo – la Commissione presenterà una proposta relativa all’immatricolazione posteriore al 2035 di veicoli che funzionano esclusivamente con combustibili neutri in termini di emissioni di CO2, in conformità del diritto dell’Unione, al di fuori dei livelli di prestazione in materia di emissione del parco veicoli, e conformemente all’obiettivo della neutralità climatica dell’Unione».

La richiesta del governo tedesco è piuttosto precisa: la Commissione si deve impegnare a dare carattere vincolante a quanto prevede l’emendamento, e a presentare la proposta indicata, che ammette chiaramente la possibilità di continuare a fabbricare veicoli con motori endotermici dopo il 2036, a condizione che usino «combustibili neutri», quali dovrebbero essere in particolare i carburanti sintetici.

Inoltre, la Germania (come l’Italia) conta sulla possibilità che, se le circostanze lo renderanno opportuno, la Commissione riveda l’obiettivo del 2035. È una possibilità contemplata in un altro 1 introdotto prima del voto del Parlamento europeo, all’articolo 15, che prevede una revisione dell’efficacia e dell’impatto del regolamento da effettuare nel 2026: la Commissione dovrà valutare i progressi compiuti nel conseguire gli obiettivi di riduzione del 100% delle emissioni di CO2, presentare al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione apposita tenendo conto degli sviluppi tecnologici. Soprattutto, sulla base di questa valutazione, la Commissione dovrà valutare «la necessità di rivedere gli obiettivi di cui all’articolo 1, paragrafo 5 bis», proponendo nel caso una modifica del regolamento.

Se, come tutto lascia prevedere, l’Esecutivo comunitario prenderà l’impegno richiesto nel considerando 11, non ci sarà bisogno di cambiare una virgola nell’accordo già votato dall’Europarlamento, e il testo potrà finalmente arrivare all’approvazione finale del Consiglio Ue. A quel punto l’Italia dovrà decidere se appoggiare la «soluzione tedesca» o insistere nel voto negativo, che comunque non potrà fermare l’approvazione del regolamento.