La Settimana Internazionale

La dottrina tedesca e la roulette cinese del cancelliere

Scritto il

di Attilio Geroni

Tre bei discorsi – fondanti secondo molti analisti politici – non bastano a fare una politica estera coerente e soprattutto in rottura con il passato, più o meno recente, nonostante proclami e autoflagellazioni.

La Germania del cancelliere Olaf Scholz continua a essere un oggetto misterioso e spiazzante e il viaggio di questa settimana a Pechino, dove incontra il presidente Xi Jinping e il premier Li Keqiang, accompagnato da una folta schiera di rappresentanti delle grandi imprese tedesche (Volkswagen e Basf tra le altre), lo conferma.

Dal discorso del 27 febbraio al Bundestag sullo Zeitenwende, la svolta epocale indotta dall’invasione russa dell’Ucraina e la manifesta necessità di diventare un attore importante, almeno su scala europea, nella Difesa, a quello del 29 agosto all’Università Carlo di Praga dove dichiara che «l’Europa è il nostro futuro» e si rende disponibile a modifiche dei Trattati per rendere più efficiente il processo decisionale della Ue a 27, Scholz non manca di buoni propositi.

E nemmeno il suo presidente, anch’egli socialdemocratico, Frank-Walter Steinmeier, che solo pochi giorni fa pronunciava un altro importante discorso, stavolta una sorta di mea culpa nei confronti di un atteggiamento e di una politica che negli ultimi decenni ha reso la Germania troppo dipendente da alcune grandi economie che sono anche regimi autoritari.

Tutto bellissimo. Poche classi dirigenti in Europa hanno una così forte e spiccata vocazione all’autocritica e sono così abili nell’individuare gli errori e sbandierarli con la dovuta gravitas.

Peccato che dalla fase diagnostica alla messa in pratica dei rimedi passi di solito molto, troppo tempo. Un periodo durante il quale possono facilmente prevalere i segnali contraddittori, che non sarà poi così facile abbandonare, nonostante le gravi circostanze, perché hanno contraddistinto le basi dello sviluppo economico e della politica estera tedesca almeno durante la lunga era Merkel.

Jan Claas Behrends, storico, professore all’Università Viadrina, le ha brillantemente riassunte così in un tweet:

dipendenza dagli Usa per la sicurezza; dalla Russia per l’energia; dalla Francia per le politiche di integrazione europea; dalla Turchia per regolare i flussi migratori; e dalla Cina per la crescita economica.

Quest’ultimo punto, assieme alla dipendenza energetica dalla Russia, rischia di diventare il più controverso, nonostante da tempo il Paese abbia intrapreso una riflessione profonda sui legami economici con la Cina, soprattutto alla luce di importanti acquisizioni di aziende hi-tech tedesche da parte di grandi gruppi cinesi negli ultimi anni.

La scelta del cancelliere di cedere una quota di minoranza di uno dei grandi terminal del porto di Amburgo, nonostante l’opposizione di ben sei ministeri competenti, alla cinese Cosco, e l’orientamento dello stesso nel voler dare l’ok all’acquisizione del produttore tedesco di microchip Elmos da parte della controllata svedese di un gruppo cinese, Sai Microelectronics, ha disorientato molti osservatori. Anche perché in origine Scholz, primo leader Ue a recarsi in Cina dal 2019, sarebbe dovuto andare a Pechino assieme al presidente francese Emmanuel Macron, con il quale i rapporti sono diventati di recente molto tesi.

Una visita ora, con Xi Jinping appena riconfermato per altri cinque anni alla guida del Paese e una concentrazione massima del potere nelle sue mani, appare come un riconoscimento fuori luogo e fuori tempo.

Berlino, in questa fase di profondo ripensamento, prova a seguire la vecchia strada del Wandel durch Handel, la dottrina secondo la quale il rafforzamento dei legami economici viene visto anche come un modo per impegnare i regimi autoritari a un miglioramento sul fronte del rispetto dei diritti umani.

L’impegno della Germania con Cina e Russia negli ultimi decenni ha prodotto frutti soltanto sul piano economico mentre su quello politico-istituzionale le cose sono soltanto peggiorate. Ciononostante, Scholz ritiene difficile rinunciare alla componente economica di questa dottrina. Del resto il Ceo di Basf, Martin Brudermueller, che in Cina ha uno dei più importanti investimenti della sua storia, ha detto che bisogna smetterla con gli attacchi nei confronti della Cina, mentre la stessa Volkswagen si gioca la leadership mondiale dell’auto elettrica sul mercato cinese e contro i produttori cinesi. La coerenza dei bei discorsi politici può aspettare.