La Settimana Internazionale

La grandeur indiana e il sorpasso (sognato) alla Cina

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di Paolo Della Sala

Non tenere il monopolio dell’energia russo e quello cinese nella manifattura, redistribuendolo in altre aree, è un bene, a patto di passare dall’India. Entro dieci anni il subcontinente diventerà la terza economia globale, scalando dall’undicesimo posto del 2011 al quinto di adesso. L’ingresso parziale dell’India nell’alleanza Aukus-Quad, nata per contenere i legami sino-russo-iraniani, la avvicina all’Occidente e al libero mercato.

Oltre a un’immensa forza lavoro, il Paese ha una storica eccellenza matematica che si traduce in un esercito di scienziati e informatici. Manca però la capacità di fare impresa con gli strumenti delle value e supply chain. Dominano i colossi del settore automotive e siderurgico come Tata e le acciaierie Jindal Steel and Power o Mittal, mentre il settore hi tech è rimasto indietro rispetto alle altre “tigri asiatiche”.

La Cina resta un mercato irrinunciabile per tutti i Paesi, anche se è diventato più difficile e più rischioso farci affari, per le tensioni a Pechino oltre che delle politiche sanitarie contro il covid che stanno mettendo a dura prova le reti logistiche nazionali e infliggendo un duro colpo alle attività del settore manifatturiero, edile e dei servizi. Proprio la logistica potrebbe essere l’atout che può giocare l’India, Paese che pur con le sue tante contraddizioni – politiche, economiche e operative – si candida a essere un grande hub beneficiario della “globalizzazione frammentata” verso cui il mondo si sta incamminando. Un hub alternativo per molte imprese, grazie a un’elevata capacità di innovazione tecnologica, un costo del lavoro abbordabile e alcune riforme positive realizzate dal governo.

Trasportare merci dai porti indiani, oltretutto, significa risparmiare, e molto, sul costi dal momento che Mundra, il maggior porto commerciale indiano, è più vicino a Genova di ben 3.600 miglia nautiche rispetto a Shanghai. Vantaggi in tal senso ci sarebbero anche per l’ambiente: 13mila chilometri risparmiati ogni viaggio tra andata e ritorno significano molto meno inquinamento e da qui l’India potrebbe migliorare il suo profilo green, oggi ancora molto debole. Non ultimo una produzione più vicina può incrementare la portualità italiana via canale di Suez.

La taiwanese Pegatron, fornitrice di Apple, sposterà parte della produzione in India, come già fatto dal colosso Foxconn che vicino a Chennai ha avviato la produzione di iPhone 14. L’operazione è causata formalmente dai continui lockdown di Zhengzhou, “città cinese degli iPhone”, ma il problema è politico: già oggi Pegatron ha uno stabilimento nel Tamil Nadu, mentre gli iPhone “indiani” di Foxconn cresceranno del 150% nel 2023. Anche Stellantis ha inaugurato un centro software nel Karnataka per lo sviluppo di software per le proprie auto.

Secondo Jupiter Global Emerging Markets, il monopolio cinese «può finire, visti i cambiamenti che stanno spostando l’ago della bilancia verso l’India». Mentre Xi Jinping si autonominava presidente a vita, a Nuova Delhi Narendra Modi annunciava la campagna Make in India. Sebbene l’India e la Cina facciano fronte comune in alcune scelte politiche, è evidente che fra le due potenze emergenti il conflitto sia pronto a scoppiare su molti fronti. E in questo contesto il delicato settore tecnologico costituirà senz’altro terreno di scontro economico e politico. Il premier Modi ha lanciato un maxi piano di investimenti (dal nome altisonante “forza della velocità”) per rendere il suo Paese una potenza tecnologica nel campo delle infrastrutture.

Insomma, un nuovo guanto di sfida all’ingombrante vicino, con il quale ha anche in corso una mai risolta controversia territoriale ai confini vicino a Nepal e Buthan, con tanto di guerra nel 1962 (cui non è mai seguito un trattato di pace).

Il cancelliere Konrad Adenauer diceva: «Con le tigri è facilissimo mettersi d’accordo: basta farsi divorare». L’avvio di una globalizzazione 2.0 può, invece, offrire all’Europa un mercato globale più diffuso ed equilibrato. Le delocalizzazioni avranno un impatto minore rispetto alla deregulation degli anni ’90 e  del 2020. Ci sarebbero perciò più posti di lavoro reindustrializzando la Ue su scala mondiale e creando una nuova filiera che rinsaldi scienza, tecnologia, sapere, ambiente e produzione.

Il mercato globale è alla ricerca di un’alternativa consistente alla pericolosa dipendenza della catena di approvvigionamento dalla Cina, resa evidente dalla pandemia e ancora più rischiosa dalle ambizioni cinesi.

Anche i numeri macroeconomici giocano a favore dell’India.

Non solo non correrà alcun rischio recessione nei prossimi 12 mesi – a differenze di molte altre potenze mondiali – ma sarà anche quella che crescerà di più quest’anno tra le principali economie. Il Fondo monetario internazionale nel suo ultimo Economic Outlook ha previsto il Pil indiano in rialzo fino al 7,4% nel 2022, ben oltre il Dragone, finora motore dell’economia mondiale, la cui espansione dovrebbe attestarsi a meno della metà (3,3%). Un sorpasso, questo sì, davvero reale.