La Settimana Internazionale

La lezione di Atene sul risanamento dei conti pubblici

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di Attilio Geroni

Si torna a parlare di Grecia. Stavolta non più nei termini drammatici e di eccezionalità che avevano contraddistinto buona parte della seconda decade. Il Paese ha votato per la seconda volta in pochi mesi (la prima è stata a maggio) e ha confermato al governo con una maggioranza assoluta Nuova Democrazia del premier Kiryakos Mitsotakis.

La sinistra di Syriza è stata staccata di 22 punti percentuali: un risultato disastroso che mette in discussione la leadership dell’ex primo ministro Alexis Tsipras.

La vittoria dei conservatori piace sempre ai mercati: anche stavolta la Borsa di Atene e i titoli di Stato greci hanno festeggiato. Il ritorno dell’investment grade è previsto entro la fine dell’anno e rappresenterebbe il sigillo alla fine della lunga e soffertissima crisi debitoria che ha messo in ginocchio il Paese spingendolo a un passo dal default e, forse, dall’uscita dalla moneta unica.

La Grecia però, ha saputo trasformare il dramma in una storia di relativo successo e di speranza. Il relativo successo è quello legato al risanamento dei conti pubblici e al ritorno della crescita. La speranza è che questi indicatori macro confortanti si traducano in una più equa redistribuzione del reddito in una popolazione che ha sofferto duramente negli anni dell’austerità richiesta dai creditori a fronte del salvataggio.

Visti da lontano i numeri dell’economia greca, pensando soprattutto al recente passato, sono positivi. Forte crescita del Pil, calo della disoccupazione e del debito, surplus di bilancio nonostante le spese pubbliche sostenute contro l’emergenza pandemica e quella energetica. Il Fondo monetario internazionale ha rivisto al rialzo le prospettive per l’anno in corso: dopo un aumento del Pil dell’8,4% nel 2021 e del 5,9 nel 2022, sempre nettamente al di sopra della media Ue, le previsioni indicano una crescita del 2,6% contro stime precedenti dell’1,8%. Numeri che in due anni dovrebbero portare il tasso di disoccupazione al 10% rispetto al 12% attuale.

Ma la storia della Grecia e delle sue traversie è sempre stata, e in parte continua a essere, una storia di estremismi contrapposti. Da un lato un Paese che all’inizio del nuovo millennio ha gonfiato fino all’inverosimile la spesa pubblica fino a mentire sullo stato reale delle sue finanze, dall’altro la reazione dei mercati e dei partner dell’Eurozona, che assieme all’Fmi hanno imposto un rigore di bilancio in cambio del salvataggio che in molti casi ha avuto davvero poco riguardo per le vite degli altri.

Dall’ultimo salvataggio dell’agosto 2015 la priorità della politica economica è stata il risanamento dei conti pubblici e la conseguente riduzione del debito, una scelta che è costata la sconfitta elettorale alla sinistra radicale di Syriza nel 2019 a favore dei conservatori, i quali hanno mantenuto più o meno la stessa linea puntando inoltre sulla svalutazione competitiva attraverso la compressione del costo del lavoro.

Anche, e forse soprattutto per questa ragione, la Grecia è diventata campione europeo di esportazioni, cresciute dal 2010 al 2021 del 90% rispetto a una media Ue del 4%. Infatti in termini reali i salari greci sono oggi ancora inferiori del 25% rispetto al 2008, mentre il Paese registra uno dei più alti tassi di povertà relativa tra i Ventisette e il salario minimo, aumentato di recente da 832 euro al mese a 910, era più basso di quanto non fosse dodici anni prima.

Il risanamento ha avuto un prezzo ed è andato avanti. Nonostante la recente spesa di 66 miliardi per attutire i contraccolpi della pandemia e della crisi energetica, Atene nei primi quattro mesi dell’anno ha conseguito un surplus di bilancio di 3,2 miliardi. Il debito, da un picco del 212% del Pil registrato tre anni fa (dati Fmi), l’anno scorso è sceso al 171,3 %, il livello più basso dal 2012, nonché un tasso di rientro tra i più rapidi mai registrato a livello internazionale.