La Settimana Internazionale

Linea dura UE sull’inquinamento

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A cura di Lorenzo Consoli

Nel quadro della sua strategia “Inquinamento Zero” per il 2050, la Commissione europea propone di rafforzare tutta la legislazione comunitaria contro le emissioni inquinanti nell’aria ambiente e nelle acque, attribuendo in particolare ai cittadini la possibilità di chiedere un risarcimento alle amministrazioni dello Stato, nel caso in cui abbiano subito danni alla propria salute a causa della mancata attuazione di queste norme. Un nuovo diritto che potrà essere esercitato anche attraverso azioni collettive in giustizia, condotte dalle Ong attive nel campo dell’ambiente o della salute, a nome e per conto delle vittime.

Precise disposizioni che introducono questo diritto alla compensazione per danni alla salute sono già state inserite in tre nuove proposte legislative recenti: la revisione della direttiva sulla qualità dell’aria ambiente, la revisione della direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane, e la modifica della direttiva sulle emissioni industriali e agroindustriali (“prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento”). Le prime due proposte sono state presentate il 26 ottobre scorso, la terza era stata presentata il 5 aprile. Una quarta proposta che potrebbe contenere norme simili sarà presentata nel corso del 2023, contro l’inquinamento dei suoli.

A conferma del fatto che che questa innovazione colmerà una lacuna nelle normative esistenti, il 22 dicembre la Corte di Giustizia europea ha emesso una sentenza, in risposta a un rinvio pregiudiziale riguardante un caso in Francia sulla responsabilità delle amministrazioni pubbliche per l’inquinamento atmosferico. La sentenza chiarisce che le direttive Ue sulla qualità dell’aria attualmente in vigore «non sono preordinate a conferire» alle persone «un diritto al risarcimento nei confronti di uno Stato membro, a titolo del principio della responsabilità dello Stato per i danni causati ai singoli da violazioni del diritto dell’Unione ad esso imputabili”. La Corte riconosce invece la possibilità per i cittadini di rivolgersi ai giudici per ingiungere allo Stato di attuare le misure previste per garantire il rispetto dei limiti alle emissioni inquinanti, quando questo non è stato fatto.

Che cosa cambierà con le nuove direttive? In ognuna delle tre proposte legislative compare un nuovo articolo specifico, intitolato “Indennizzo” nelle direttive sulle emissioni industriali (art. 79 bis) e sul trattamento delle acque reflue (art. 26), e più precisamente “Indennizzo per danno alla salute umana” nella direttiva sulla qualità dell’aria (art.28). Curiosamente, nei suoi comunicati stampa in cui sono illustrate le tre proposte legislative, la Commissione solo nell’ultimo caso fa riferimento in modo esplicito all’introduzione di questo nuovo diritto per i cittadini.

«La revisione farà sì che le persone la cui salute è stata danneggiata dall’inquinamento atmosferico abbiano il diritto di essere risarcite in caso di violazione delle norme dell’Ue in materia di qualità dell’aria, e di essere rappresentate da organizzazioni non governative in azioni collettive per il risarcimento dei danni», spiega una nota della Commissione del 26 ottobre, senza peraltro precisare che a pagare potrebbero essere chiamate anche le amministrazioni pubbliche inadempienti, e non solo i responsabili dell’inquinamento.

Molto più esplicito è l’articolo 79 bis della proposta di revisione della direttiva sulle emissioni industriali (che è pressoché identico all’art. 26 della proposta sulle acque reflue): «Gli Stati membri provvedono affinché, in caso di danno alla salute umana intervenuto a seguito di una violazione delle misure nazionali adottate ai sensi della presente direttiva, le persone interessate abbiano il diritto di chiedere e ottenere un indennizzo per tale danno dalle persone fisiche o giuridiche interessate e, se del caso, dalle autorità competenti responsabili della violazione”.

Le disposizioni sull’indennizzo presenti nelle tre proposte di direttive prevedono che una denuncia di violazione che ha causato danni alla salute non possa essere perseguita due volte (principio “ne bis in idem”), ovvero da parte sia delle vittime che delle Ong. Inoltre, le norme e le procedure nazionali relative alle richieste di indennizzo dovranno essere «concepite e applicate in modo da non rendere impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio del diritto al risarcimento dei danni».

Un altro elemento importante riguarda l’onere della prova: in caso di richiesta di indennizzo suffragata da evidenze che fanno presumere un nesso di causalità tra il danno e la violazione, gli Stati membri dovranno provvedere «affinché spetti alla persona responsabile della violazione dimostrare di non aver causato il danno o di non avervi contribuito».