La Settimana Internazionale

Medio Oriente, come fermare la tempesta perfetta

Scritto il

di Federico Bosco

Un’intensa campagna militare a Gaza, scontri al confine tra Israele e Libano, tensione in Cisgiordania, pro-teste nel mondo arabo, manifestazioni in Europa e Stati Uniti, incontri di alto livello e diplomazia dietro le quinte. Dopo i brutali attacchi di Hamas nel sud d’Israele e la durissima reazione israeliana contro la Striscia di Gaza, la situazione sul terreno resta segnata da paura e violenza, e dall’incertezza sulle conseguenze di lungo periodo.

Stavolta capire cosa succederà in Israele e Palestina, e di conseguenza in tutto il Medio Oriente, è molto più difficile che in passato.

Per Israele gli attentati del 7 ottobre segnano la fine di un’era in cui la supremazia militare aveva dato al paese una sensazione di sicurezza mai vissuta prima, iniziataproprio con il disimpegno da Gaza nel 2005.

La quantità smisurata di vittime civili, e il modo in cui gli israeliani sono stati inseguiti, torturati, uccisi, e rapiti rende questo attacco il più grave di tutti i 75 anni di esistenza dello stato ebraico, poiché harimesso il paesedi fronte a una vulnerabilità e un orrore che ormai credeva impossibile.

In soli due giorni sono stati uccisi più israeliani che in tutte le escalation del conflitto israelo-palestinese dal 2006 all’ottobre del 2023.

Molti abitanti del sud di Israele hanno dovuto lasciare le proprie case diventando rifugiati in patria, lo stesso destino è toccato a una parte degli abitanti del nord, minacciati dagli attacchi degli Hezbollah libanesi.

Israele dovrà rivalutare i fondamentali della sicurezza militare, politica ed economica che ha caratterizzato la geopolitica dello stato ebraico degli ul-timi 15 anni. Anche per i palestinesi di Gaza niente saràcome prima.

Le Forze di difesa israeliane (Idf) hanno promesso di spazzare via Hamas con un attacco implacabile alla fine del quale Israele vuole tagliare completamente i legami con la Striscia di Gaza.

L’operazione si articolerà in tre fasi: distruzione di tutte le infrastrutture e le basi di Hamas, eliminazione delle sacche di resistenza sopravvissute alla prima fase, e infine ilsuperamento di ogni responsabilit àdi Israele sui palestinesi che vivono a Gaza. Le vittime civili saranno tante, sono le stesse Idf ad ammetterlo.

Chi si farà carico di governare questo territorio lungo 45 chilometri e largo meno di dieci in cui vivono 2,4 milioni dipersone in condizioni di estrema povertà, al momento, non è chiaro.

Anche i paesi arabi non sembrano interessati a prendersi la responsabili-tàdel governo di Gaza.Le conseguenze dell’operazione israe-liana avranno effetti su tutto il Medio Oriente, con l’Iran e il Qatar – i principali sostenitori di Hamas – in conflitto più o meno latente con l’Arabia Saudita e i Paesi del Golfo, che pur sostenendo la causa palestinese stanno normalizzando (o hanno giànorma-lizzato) i rapporti con Israele, che tut-tavia viene ancora visto da tutti i Paesi della regione come un corpo estraneo.

Un mosaico di rivalità tra potenze mediorientali in cui si incrociano diversità e conflittualità dalle radici lontane: divisione tra musulmani sciiti e sunniti, contrapposizione tra salafiti e fratelli musulmani, giochi di potere tra clan e organizzazioni, ambizioni geo-politiche e competizione economica tra produttori di idrocarburi.

Per tutti questi motivi gli Stati Uniti hanno dimostrato fin dalle prime ore un attivismo senza precedenti per una crisi Gaza-Israele,mettendo in campo un supporto militare immediato per riaffermare la deterrenza nei confronti dei nemici di Israele (a partire dall’Iran), e unimpegno diplomatico a tutto campo per contenere la reazione israeliana.

La Casa Bianca non vuole impedire al governo israeliano di eliminare Hamas, né imporgli un cessate il fuoco prematuro che potrebbe essere visto come un segno di debolezza. Ma ritiene prioritario impedire che Israele si infili in un pantano per inseguire la vendetta, innescando un allargamento del conflitto con l’apertura del fronte nord contro gli Hezbollah (milizia filoiraniana), e un’ondata di rivolte in Cisgiordania che stavolta potrebbero far collassare del tutto l’Autorità nazionale palestinese (Anp).

Se ciò avvenisse, Israele si troverebbe in guerra su tre fronti con le Idf sot-oposte a una pressione senza precedenti, e a quel punto tutti gli attori del Medio Oriente vorranno (o saranno costretti) a fare la propria mossa, in-nescando un ciclo di violenze a quel punto incontrollabile.

Il ritorno del conflitto israelo-pale-stinese sulla scena internazionale sta dimostrando che, nel bene e nel male, anche nel mondo che diventa multipolare gliStati Uniti sonoanco-ral’unicaverasuperpotenza.

Il ruolo della Russia e della Cina in questa crisi mediorientaleèmolto limitato, nonostante la presenza russa in Siria e il ruolo cinese nel ripristino delle re-lazioni diplomatiche tra l’Arabia Sau-dita e l’Iran.

Mosca e Pechino posson osoffiare sul fuocoe speculare sulla tragedia condannando l’Occidente, ma non sono in grado di portare avanti un’iniziativa diplomatica costruttiva né difornire garanzie sul governo di Gaza se le Idf riusciranno davvero a schiacciare Hamas e a separare Israele da un territorio che controlla dal 1967.

All’atto pratico, ad affrontare la questione sonogli Stati Uniti ele potenze regionali del Medio Oriente.

Anche per l’Europa è un duro risveglio. Se l’invasione russa dell’Ucraina ha dato un ruologeopolitico all’Unione europea, la guerra Gaza-Israele è il momento della verità.

Le prime mosse non sono state grandiose, i vertici delle istituzioni europee si sono affrettati a fare dichiarazioni non richieste, e nel farlo si sono contraddetti tra loro, rivelando l’imbarazzante conflittualità personale e politica dei leader della bolla di Bruxelles.

Eppure, i grandi Paesi europei – e l’Italia è tra questi – possono fare molto per rilanciare il processo di pace basato sulla soluzione a due stati, e presto potrebbero essere chiamati a farlo.

Un’impresa sul piano economico meno costosa del sostegno a Kiev, ma politicamente molto più impegnativa.