La Settimana Internazionale

Energia: scontro sulla riforma UE

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di Lorenzo Consoli

La Commissione europea presenterà il 16 marzo (e non il 14 come inizialmente previsto) l’attesa proposta di riforma strutturale del mercato Ue dell’energia elettrica.

L’obiettivo originario della riforma era quello di “disaccoppiare” il prezzo dell’elettricità da quello del gas, per evitare l’effetto contagio che ha portato le bollette di famiglie e imprese alle stelle l’estate scorsa, soprattutto a seguito dei rincari causati dalla guerra in Ucraina e dalla stretta sulle importazioni di metano dalla Russia.

Dopo la drammatica volatilità dei prezzi si erano sostanzialmente indebolite le reticenze di Paesi come la Germania e l’Olanda, e anche della stessa Commissione europea, all’idea di cambiare l’attuale meccanismo marginale di formazione dei prezzi all’ingrosso per elettricità (modello “pay as clear”), che era stato deciso all’epoca della liberalizzazione del mercato, e che aveva funzionato bene in tutti questi anni. Almeno fino alla prima impennata del prezzo del gas nel 2021.

Il meccanismo marginale prevede che per ogni ora del giorno si paghi l’elettricità all’ingrosso in base all’ultima offerta entrata sul mercato, al prezzo più alto, per soddisfare la domanda. E quest’ultima offerta si riferisce oggi quasi sempre a un impianto a gas. Quindi si paga ai fornitori al prezzo del gas l’elettricità prodotta in realtà con costi molto minori dalle rinnovabili.

È un meccanismo ormai datato e non più adatto all’evoluzione del mercato in corso, per due ragioni: c’è stata una inversione della situazione iniziale, per cui il gas è ormai comunque molto più costoso delle energie rinnovabili (che hanno costo marginale zero, perché non dipendono dall’uso di un combustibile); e si è verificato uno sviluppo notevole delle stesse rinnovabili, che ha cambiato la composizione del mix energetico del mercato elettrico europeo, con le rinnovabili sempre più determinanti.

Non si sa ancora esattamente come si orienterà la Commissione nella sua proposta di riforma, e il dibattito fra gli attori di mercato e fra gli Stati membri è ancora in corso e molto acceso.

Molti Paesi hanno presentato delle posizioni (“non paper”), congiunte o singole, a volte innovative (Francia, Spagna, Grecia, Irlanda, Portogallo), e altre volte preoccupate di conservare il massimo possibile dell’attuale meccanismo (Germania, Danimarca, Estonia, Finlandia, Lussemburgo, Lettonia e Olanda).

L’Italia aveva preso una posizione forte, insieme ai paesi mediterranei, a favore di una riforma ambiziosa e di un “disaccoppiamento” radicale durante il governo Draghi, e non ci si attendono cambiamenti dal nuovo governo, che non ha prodotto nuovi documenti.

Gli strumenti nuovi che potrebbe proporre la Commissione per smantellare, almeno parzialmente, il meccanismo marginale del prezzo all’ingrosso sono sostanzialmente due: 1) lo spostamento di una parte dei contratti sul mercato (solo quelli relativi alla fornitura di elettricità da rinnovabili e dal nucleare) dal breve al medio e lungo termine, e quindi da prezzi spot, ora per ora e giorno per giorno, a prezzi fissi stabiliti per diversi anni (si parla di cinque, 10 o 15 anni); 2) l’introduzione, almeno per una parte del mercato, dei cosiddetti “contratti per differenza”, che sostanzialmente fisserebbe una sorta di prezzo amministrato dell’elettricità.

Nei “contratti per differenza” c’è un acquirente unico (generalmente pubblico) che provvede agli acquisti di lungo periodo a un prezzo prefissato (“strike price”). Se i prezzi di mercato superano il livello di questo “strike price”, è il fornitore che si assume il costo supplementare; se invece i prezzi di mercato restano più bassi del prezzo prefissato, è l’acquirente che compensa la differenza pagandola al fornitore di energia. Questo meccanismo è particolarmente adatto a inquadrare gli eventuali aiuti di Stato nel settore.

È in corso oltretutto un braccio di ferro sui tempi della riforma: il governo tedesco sta frenando vistosamente, prospettando di arrivare a completarla non prima delle nuove elezioni del Parlamento europeo, comunque non prima dell’autunno 2024. La Germania, inoltre, sta facendo pressioni affinché vi sia un processo in due tappe, con un primo intervento più “leggero” sul mercato e il completamento della riforma solo dopo una valutazione d’impatto delle nuove misure. Francia e Spagna invece premono affinché la riforma sia compiuta entro quest’anno.