La Settimana Internazionale

Quote di emissione, si cambia: rischi per imprese e consumatori

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di Lorenzo Consoli

Una riforma del sistema europeo Ets di scambio dei permessi di emissione di CO2, che ne estenderà la portata e ne moltiplicherà l’efficacia; un nuovo sistema “Ets 2”, con un mercato delle emissioni separato per i combustibili fossili usati nel trasporto su strada e nel riscaldamento degli edifici; il nuovo meccanismo Cbam (“Meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere”) che introdurrà dei “dazi climatici” per l’importazione di elettricità e di una serie di prodotti ad alta intensità energetica provenienti da Paesi in cui non ci sono sistemi analoghi all’Ets; e, dulcis in fundo, il nuovo Fondo sociale per il clima, destinato a combattere la “povertà energetica”.

Sono le misure approvate dal Parlamento europeo a larga maggioranza il 18 aprile, e adottate formalmente dal Consiglio Ue il 25 aprile, che costituiscono la spina dorsale del pacchetto “Fit for 55”, la strategia dell’Ue per ridurre le emissioni di gas serra al 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990.

La riforma dell’Ets 1 aumenterà il ritmo di riduzione delle emissioni nei settori coperti dal sistema, portandolo al 62% (invece dell’attuale 43%) rispetto ai livelli del 2005, entro il 2030,  e includerà anche impianti di dimensioni minori, gli inceneritori dei rifiuti (a partire dal 2028), l’aviazione civile (che oggi partecipa con quote gratuite), nonché buona parte del settore marittimo. Finora, il sistema copriva 11mila industrie e centrali energetiche che emettono il 40% delle emissioni a effetto serra dell’Ue. Dopo la riforma, e considerando anche gli effetti del nuovo Ets 2, i settori sottoposti al mercato del carbonio arriveranno a coprire l’85% delle emissioni dell’Unione.

La riforma prevede anche, parallelamente all’introduzione dei dazi climatici, la graduale eliminazione tra il 2026 e il 2034 delle attuali quote gratuite concesse ad alcune imprese europee più esposte alla concorrenza internazionale e quindi al “carbon leakage”, il rischio di delocalizzazione degli impianti in giurisdizioni extra Ue che non impongono l’acquisto dei permessi di emissione. Le quote gratuite verranno diminuite del 2,5% nel 2026, 5% nel 2027, 10% nel 2028, 22,5% nel 2029, 48,5% nel 2030, 61% nel 2031, 73,5% nel 2032, 86% nel 2033, e 100% nel 2034.

L’istituzione del “Meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere” ha sostanzialmente due obiettivi: creare un mercato globale delle emissioni, spingendo i Paesi extraeuropei che ancora non lo hanno fatto ad adottare regimi equivalenti all’Ets, e disincentivare la delocalizzazione della produzione delle imprese europee in quei Paesi, fintanto che non si adeguano al livello di ambizione climatica dell’Ue.

I dazi climatici del Cbam saranno introdotti gradualmente, sempre tra il 2026 e il 2034, e si applicheranno alle importazioni di ferro, acciaio e alluminio, cemento, fertilizzanti, elettricità e idrogeno, e prenderanno in conto anche le “emissioni indirette”, causate dall’elettricità di fonte fossile usata nei processi produttivi. Le aziende importatrici dovranno acquistare dei certificati per le emissioni a un prezzo corrispondente a quello che avrebbero pagato per produrre i beni all’interno dell’Ue.

Un problema che rimane aperto, e che è stato segnalato dall’industria, è quello della competitività degli operatori europei nelle esportazioni fuori dall’Ue, dove si è in concorrenza con imprese non sottoposte né a un mercato delle emissioni, né ai dazi del Cbam. Eurofer, ad esempio, paventa una perdita di esportazioni solo per il settore siderurgico pari a 45 miliardi di euro dopo il 2026.

Per rispondere a questa preoccupazione, la Commissione si è impegnata a monitorare il mercato e a valutare l’impatto dell’Ets e del Cbam sulla produzione dell’Ue destinata all’esportazione, presentando un rapporto entro il 2025.

Un’altra questione aperta riguarda il nuovo sistema “Ets 2” che sarà applicato ai combustibili usati per il trasporto su strada e negli edifici a partire dal 2027 (o dal 2028 se i prezzi dell’energia saranno eccezionalmente elevati). Saranno i fornitori dei combustibili a pagare per le quote di emissione, ma i costi sostenuti potrebbero essere trasferiti sui consumatori.

Per compensare in parte questa dinamica, che potrebbe creare problemi economici per le famiglie e le imprese più vulnerabili e provocare malcontento sociale (con fenomeni simili a quello dei “gilet gialli” in Francia), sono previste due diverse misure: un meccanismo di mercato per evitare  prezzi eccessivi delle quote di emissione, e il nuovo Fondo sociale per il clima.

Nel testo approvato viene indicata una soglia massima di 45 euro per tonnellata di CO2 per il costo dei permessi di emissione dell’Ets 2, corrispondente a un sovrapprezzo di 10 centesimi di euro al litro per la benzina e di 12 centesimi per il gasolio. Ma non si tratta di un vero e proprio tetto al prezzo: se la soglia verrà superata, la Commissione attingerà alla “riserva stabilizzatrice di mercato”, aumentando le quote  disponibili fino a 20 milioni di tonnellate di CO2. Resta, comunque, il rischio che si inneschino fenomeni speculativi e che la riserva non sia sufficiente a calmierare i prezzi.

Più consistente appare l’altro rimedio, l’istituzione del Fondo sociale per il clima a partire dal 2026, che sarà costituito con i ricavi della messa all’asta delle quote dell’Ets 2 fino a un importo di 65 miliardi di Euro, più un ulteriore 25% (circa 22 miliardi di euro) coperto da risorse nazionali, per un totale complessivo di 86,7 miliardi di euro. A beneficiarne saranno le famiglie vulnerabili, le micro imprese e gli utenti dei trasporti particolarmente colpiti dalla “povertà energetica”.

Il Fondo potrà finanziare misure di compensazione e di sostegno al reddito, e anche investimenti, ad esempio per l’efficienza energetica degli edifici, per l’installazione di piccoli impianti di energia rinnovabile, per incentivare il trasporto pubblico e la mobilità a basse emissioni. Starà agli Stati membri stabilire i criteri di assegnazione e gestire i finanziamenti, con dei programmi che entreranno nei loro piani nazionali aggiornati per l’energia e il clima. Ma resta il rischio che si producano profonde differenze fra i diversi Paesi nei regimi di sostegno, e che almeno una parte di questi regimi siano inadeguati a compensare i maggiori costi che i consumatori e le imprese potrebbero dover pagare.