La Settimana Internazionale

Scontro Ue sugli obblighi sociali e ambientali per le imprese

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di Lorenzo Consoli

Il Parlamento europeo lo scorso primo di giugno ha approvato i suoi emendamenti alla proposta di direttiva sulla corporate due diligence, il dovere di diligenza da parte delle imprese dell’Ue.

La direttiva impone alle società attive nell’Unione che superano una determinata soglia di personale e fatturato di garantire che le proprie attività e quelle delle aziende coinvolte nella loro catena del valore rispettino i diritti umani, sociali e ambientali tutelati dalle convenzioni e dai trattati internazionali, come l’accordo di Parigi sul clima, la Convenzione sulla biodiversità, quelle contro il lavoro minorile, la schiavitù e lo sfruttamento del lavoro.

Le aziende della Ue dovranno sospendere o terminare i rapporti commerciali con le società partner che violano questi diritti.

Resta ancora da chiarire come ciò possa avvenire nei casi in cui non esistano, o non siano ancora state sviluppate, alternative per l’approvvigionamento di materie prime critiche o di componenti essenziali per la produzione.  Il testo, approvato con 366 voti a favore, 225 contrari e 38 astensioni, costituisce la posizione negoziale del Parlamento europeo per le trattative con gli Stati membri e la Commissione.

Il Consiglio Ue aveva adottato il primo dicembre 2022 il suo «orientamento generale» sulla direttiva. Il negoziato non si annuncia facile, viste le notevoli differenze nelle posizioni delle tre istituzioni.

Divergono le soglie previste per applicare la direttiva alle imprese: 500 dipendenti e un fatturato di 150milioni di euro la proposta della Commissione, 250 dipendenti e 40milioni quella del Parlamento, mentre il Consiglio chiede un approccio graduale, cominciando dalle aziende più grandi (mille dipendenti e 300milioni di fatturato), per poi passare, dopo 4 anni, alle soglie proposte dalla Commissione, e allargare un anno dopo il campo di applicazione anche alle imprese con almeno 250 dipendenti e un fatturato di 40milioni, ma solo nei settori definiti «a impatto elevato» (tessile e calzature, alimentare, agricoltura e pesca, estrazione di minerali, commercio di materie prime e manifattura dei metalli).

Il Consiglio, inoltre, chiede di escludere il settore finanziario, lasciando agli Stati membri l’eventuale decisione di introdurlo sul proprio territorio, e propone una più restrittiva definizione della catena del valore che le imprese avranno la responsabilità di sorvegliare con il dovere di diligenza, limitandola alle attività a monte (upstream).

Sarebbero escluse, in sostanza, le attività dei partner commerciali a valle (downstream): distribuzione, trasporto, stoccaggio, gestione dei rifiuti e riciclaggio.Prima del voto in plenaria, gli eurodeputati del centro destra hanno proposto emendamenti (non passati) che avrebbero avvicinato la posizione del Parlamento a quella del Consiglio, e che miravano a eliminare la diretta responsabilità degli amministratori delle imprese nell’attuazione del dovere di diligenza e a cancellare gli articoli che legano i bonus dei manager, nelle aziende con oltre mille dipendenti, al raggiungimento degli obiettivi dei piani aziendali di sostenibilità.

Le società che non rispetteranno le regole saranno responsabili di eventuali danni e potranno essere sanzionate dalle autorità di vigilanza nazionali, da istituire ad hoc. Sanzioni che possono includere il ritiro dal mercato dei prodotti dell’azienda e ammende pari ad almeno il 5% del fatturato netto globale. Potranno essere sanzionate, ed escluse dalla partecipazione agli appalti nell’Ue, anche le società di paesi terzi con un fatturato superiore a 150milioni di euro, se hanno generato attività per almeno 40milioni nel mercato unico europeo.