La Settimana Internazionale

Quella stanchezza dell’Occidente che può aprire una prospettiva di pace

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di Claudio Brachino e Gabriele Politi

Non sono i diecimila militari russi avvistati a Bakhmut. Non sono i militari, anche giovani, anche delle minoranze, che Putin sta convocando obbligandoli alla leva nelle varie, sconfinate regioni della Russia. Non sono neanche le minacce nucleari, più o meno velate o più o meno esplicite, a far pendere la bilancia della guerra a sfavore di Kiev. In questo momento il vero pericolo per Zelensky si chiama stanchezza, una parola che ha a che fare con il nostro Occidente.

Stanchezza dell’Occidente. Innanzitutto stanchezza delle opinioni pubbliche delle varie democrazie, compresa la nostra, con i dibattiti in corso sul dare le armi a Kiev, quali, per quanto tempo e se questo porta alla pace o meno.

È un dibattito che attraversa vari Paesi e che rischia prima o poi di portare anche a scelte politiche che saranno contrastanti con le decisioni prese fino a questo momento più o meno all’unanimità, anche sull’onda emotiva dell’invasione dei carri armati russi nel Donbas nel febbraio 2022. Ma al di là di questo, stanno accadendo delle cose nuove che proviamo a mettere insieme nel nostro ragionamento.

In Slovacchia vince le elezioni Robert Fico, già leader della Slovacchia, socialista ma populista, che ha messo nella sua campagna elettorale un tema preciso, decisivo: quello di non dare più le armi a Kiev. Non si sa ora se il leader appena eletto manterrà queste promesse perché poi dovrà trattare con l’Europa.

C’è uno scambio economico fra i vari Paesi, ma intanto la vicina Polonia già si è messa nelle condizioni di fare la cosiddetta guerra del grano, ovvero di non prendere più il grano ucraino che con tanta fatica questo paese riesce ancora a esportare tramite i treni e tramite il porto di Odessa. E poi il leader polacco ha già precisato che le armi a Kiev non saranno più date. Si finirà la consegna promessa e poi basta.

Al di là del quadro europeo, l’America ha trovato con fatica un accordo economico fra repubblicani e democratici al Congresso per impedire, lo diciamo in italiano, una specie di default, un crack che avrebbe impedito di pagare gli stipendi addirittura all’amministrazione statunitense.

È chiaro che Biden e il suo gruppo politico ha dovuto trattare con i repubblicani, specialmente gli ultras dei conservatori, i cosiddetti Trumpiani, che poi alla fine non vedono di buon occhio questa guerra e il suo prolungarsi.

I titoli sul momento sono stati drammatici: l’America interrompe il finanziamento e la fornitura di armi all’Ucraina per resistere a questa invasione, per fare la controffensiva a cui tiene tanto Zelenskyi e per riportare quindi la situazione in una possibile trattativa di pace a quella che era la geografia prima del 22 febbraio 2022. Poi Biden ha precisato meglio; ha detto trattarsi di un accordo economico interno e che i soldi già stanziati per Kiev saranno mantenuti, le armi già promesse saranno date.

Il presidente Usa si è insomma affrettato a dire all’amico Zelensky che non abbandona né lui né l’Ucraina, ma di fatto, in relazione anche alle elezioni presidenziali del novembre 2024, l’America sta cambiando posizione.

Cosa succederà? Tutto questo inviterà Zelensky a rinunciare alla sua filosofia militare e un po’ anche alla sua propaganda, alla sua ideologia della reconquista dei territori? A sedersi a un tavolo con Putin e a trattare con l’idea, anche negativa, di perdere parte di quei territori che prima erano suoi?

Staremo a vedere, perché in assenza di trattative di pace consistenti e autorevoli, l’unica via che forse può portare alla pace è questa stanchezza. La stanchezza dell’Occidente.