La Settimana Internazionale

Troppo ambientalista: i partiti europei processano il Green Deal

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di Lorenzo Consoli

L’aria sta cambiando, a Bruxelles e negli Stati membri, rispetto al “Green Deal”, che la Commissione europea di Ursula von der Leyen ha scelto fin dall’inizio del suo mandato, nel 2019, come la «nuova strategia di crescita» per l’Ue, e che poi ha rafforzato e accelerato in risposta alle due grandi crisi che hanno colpito l’Europa negli ultimi anni, causate dalla pandemia di Covid e dall’invasione russa dell’Ucraina, con il piano di ripresa “NextGenerationEU” e con i pacchetti “Fit for 55” e “REPowerEU”.

Mentre nei primi tre anni von der Leyen sapeva di poter contare, per l’appoggio alla miriade di misure in cui si articola il Green Deal, sulla maggioranza che l’aveva eletta in Parlamento europeo, che comprende tutto il “suo” Ppe, e poi gli altri due gruppi maggiori, S&D (Socialisti e democratici) e Renew (Liberali), e anche i Verdi e gli eletti italiani del M5S (non iscritti), dall’anno scorso è cominciato a emergere un certo scontento proprio nel Ppe, contro quelli che vengono considerati come “eccessi” ambientalisti, definiti “ideologici”, e visti come sostanzialmente contrari agli interessi di una serie di comparti del settore industriale e di quello agricolo (e della pesca).

Questo malcontento diffuso nel Ppe, e in parte anche tra i Liberali di Renew – che corrisponde in pieno alle critiche espresse fin dall’inizio contro il Green Deal dai due gruppi politici della destra conservatrice (Ecr) e di quella estrema antieuropea (Id), che costituiscono “l’opposizione” a von der Leyen – è venuto alla luce in modo esplicito durante un dibattito nell’ultima plenaria del Parlamento europeo, il 10 maggio a Strasburgo, dedicato al ruolo degli agricoltori e del settore agricolo nella transizione verde, energetica e soprattutto ambientale.

Molti degli interventi hanno attaccato la Commissione in modo piuttosto duro sulle due proposte di regolamento sul ripristino della natura e sulla riduzione dell’uso pesticidi, e più in generale sull’intera strategia “Farm to Fork” (dal campo alla tavola) e sulla biodiversità.

Il titolo del dibattito era: «Il ruolo degli agricoltori come promotori della transizione verde e di un settore agricolo resiliente». All’inizio della sessione plenaria, l’8 maggio, c’è stato un tentativo di cambiare il titolo dandogli un tono critico più esplicito: «Ascoltare e rispondere debitamente agli agricoltori come promotori della transizione verde e di un settore agricolo resiliente». La richiesta, messa ai voti, non è passata (153 a favore, 195 contrari, 12 astenuti), e il risultato dà la misura dei due schieramenti nell’Assemblea di Strasburgo: la maggioranza favorevole al Green Deal tiene ancora per circa 40 voti, ma si sta erodendo.

Dopo le prossime elezioni europee, nel giugno 2024, la maggioranza potrebbe passare agli oppositori della strategia della Commissione –giudicata troppo ambientalista e non abbastanza attenta alla «sostenibilità economica e sociale» (come è stata definita da parte di alcuni portavoce del Ppe e dell’Ecr) – e delle misure e delle regole con cui si vuole non solo assecondare, ma soprattutto accelerare la transizione verde. Questa, in ogni caso, è la scommessa che ha fatto il presidente del Ppe, Manfred Weber, appoggiato dalla maggioranza del Partito europeo (come si è visto alla sua Assemblea politica a Monaco di Baviera, il 4 e 5 maggio), e d’accordo con i dirigenti dell’Ecr, (il Partito europeo dei Conservatori e Riformisti, guidato dalla premier italiana Giorgia Meloni).

Una scommessa che ha anche il tono di una sfida diretta di Weber a Ursula von der Leyen, che potrebbe candidarsi per un secondo mandato alla guida della Commissione, e che comunque ha ormai una statura di leader anche nel suo partito, la Cdu tedesca, che sicuramente metterà a frutto nel caso in cui dovesse tornare alla politica nazionale. Weber si pone come il leader alternativo di una maggioranza alternativa, molto più spostata a destra, che potrebbe addirittura smantellare parte di quanto (ed è molto) il Green Deal ha già acquisito.

Ma è soprattutto sulle proposte legislative che non sono ancora state oggetto di accordo fra i co-legislatori dell’Ue, e su quelle che devono ancora essere presentate dalla Commissione, che si sentirà la pressione di questa ondata montante di riflusso contro il Green Deal. Diversi progetti rischiano di arenarsi. Sui due regolamenti già citati su ripristino della Natura e riduzione dei pesticidi, la Commissione teme ad esempio che si arrivi a una posizione maggioritaria del Parlamento europeo ben meno ambiziosa non solo della proposta originaria, ma anche della posizione del Consiglio Ue. Tradizionalmente avviene il contrario, gli eurodeputati cercano di rafforzare il carattere ambientalista delle proposte della Commissione, mentre i governi spingono in senso opposto.

Inoltre, continua a esserci una forte opposizione del mondo agricolo all’applicazione agli allevamenti intensivi della direttiva sulle emissioni industriali, mentre sta montando la protesta delle associazioni dei pescatori contro il divieto di pesca di fondo a strascico che dovrebbe applicarsi in tutte le aree marine protette.

In campo industriale, dove il Green Deal è già andato molto avanti, si è scatenata una fortissima lobby nel Parlamento europeo e sui governi dei Ventisette contro i nuovi obiettivi di riuso per gli imballaggi, che dovrebbero aggiungersi, con carattere prioritario, agli obiettivi di riciclo secondo la nuova direttiva sui rifiuti da imballaggi.

Continua poi l’opposizione dell’industria dell’auto, sostenuta da diversi paesi, contro i nuovi standard “Euro 7” per la riduzione delle emissioni inquinanti dei veicoli stradali diverse dalla CO2. E si sta già preparando una nuova protesta contro la strategia Ue per la sostenibilità e la circolarità dei prodotti tessili.

Inoltre, almeno tre proposte legislative importanti del Green Deal non hanno neanche cominciato l’iter co-legislativo, o non sono state ancora presentate dalla Commissione: sul divieto delle microplastiche, sullo stato dei suoli (prevista a giugno) e sulla revisione del Regolamento Reach per i prodotti chimici.  E infine, la Commissione dovrebbe proporre, entro la fine del suo mandato, i nuovi obiettivi per la riduzione al 2040 delle emissioni di gas serra, a metà strada fra il 55% già adottato per il 2030 e lo zero emissioni nette (la “neutralità climatica”) del 2050. Ma la strada ora è davvero in salita.