La Settimana Internazionale

Turchia, la geopolitica del terremoto

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di Federico Bosco

Il bilancio delle vittime dei due terremoti registrati nel sud della Turchia vicino al confine con la Siria continua ad aumentare, da giorni i soccorritori spostano a mano le macerie nel tentativo di liberare le persone rimaste intrappolate sotto le macerie ed evacuare i feriti. La macchina della solidarietà internazionale che si è messa in moto è colossale.

Dall’Unione europea e dal Regno Unito sono partiti i primi team di soccorso, gli Stati Uniti, hanno offerto aiuto e assistenza. L’Italia ha inviato personale della Protezione civile e dei Vigili del fuoco. Aiuti stanno arrivando anche da Grecia e Cipro, paesi che con la Turchia hanno rapporti molto tesi e contese territoriali aperte, e da Israele, che ha dato la sua disponibilità per accogliere nei suoi ospedali i siriani che hanno bisogno di ricoveri urgenti, nonostante sia in guerra con la Siria e le milizie iraniane che  supportano Bashar al-Assad. Non mancano gli aiuti da Russia, India, Iran, Iraq.

L’area colpita dall’onda sismica è un punto in cui si incontrano la placca anatolica, la placca araba e la placca africana. Una regione che è anche un crocevia geopolitico dove si scontrano gli interessi di piccole e grandi potenze che hanno un ruolo in questa parte del Medio Oriente.

Di fronte a una tragedia di questa portata la solidarietà è formalmente disinteressata, ma anche se i governi che inviano aiuti sono sinceramente contenti e orgogliosi di salvare vite, non per questo faranno a meno di cercare risultati politici.

Il primo a essere chiamato in causa è Recep Tayyip Erdogan, che il 14 maggio deve affrontare le elezioni da cui dipende il suo futuro politico e il mandato presidenziale (il terzo) con cui vuole passare alla storia.

Il terremoto offre a Erdogan la possibilità di vestire i panni di salvatore della patria e protettore del popolo turco, e di arrivare alla data delle elezioni con il massimo consenso possibile. Di fronte alla tragedia le opposizioni hanno le mani legate, non si può remare contro il salvatore, ma se il governo dovesse dimostrare incompetenza e corruzione le cose cambierebbero. Erdogan quindi deve dimostrare di essere lui la persona saldamente al comando degli sforzi per risollevare la Turchia.

Ciò mette il leader turco nella posizione di dover rivedere l’atteggiamento sprezzante nei confronti dell’Europa, fatto di minacce alla Grecia e a Cipro e posizioni come il veto all’ingresso della Svezia nella Nato. Anche questa però può essere sfruttata come un’opportunità, aprirsi agli aiuti europei infatti permette a Erdogan di impegnarsi in una politica estera più positiva, e di risolvere alcune controversie senza apparire debole.

Anche il premier israeliano Benjamin Netanyahu deve sfruttare l’occasione per migliorare l’immagine di Israele nella regione. Il suo nuovo governo è fragile, dominato dai partiti più a destra che si siano mai visti nel Parlamento israeliano, e le conseguenze non si sono fatte attendere. Nelle ultime settimane ci sono stati diversi scontri tra l’esercito israeliano e i palestinesi, con alcune vittime anche tra i civili. Per Netanyahu sarebbe di grande aiuto ricevere i ringraziamenti da un leader del mondo islamico importante come Erdogan, e da un nemico come il leader siriano al-Assad

Ma tra i leader che non possono tirarsi indietro il più pesante è Vladimir Putin. La Russia in Siria ha un contingente di 300 militari e Mosca ha bisogno di un’occasione per mostrare al mondo un volto umanitario, oltre alla necessità di intervenire in un quadrante in cui ha degli interessi diretti. Putin ha già chiamato personalmente Erdogan e al-Assad promettendo di inviare soccorritori in entrambi i Paesi. La parte di confine turco-siriano colpita dal sisma però è la più delicata delle relazioni tra Mosca, Ankara e Damasco, quella in cui Erdogan e Putin hanno stabilito una buffer zone il cui status definitivo è ancora tutto da decidere.

Una parte di territorio è controllato dall’esercito turco, un’altra dall’esercito siriano e dalla polizia militare russa. Ankara vuole annettere quel territorio popolato da milizie filo-turche per tenere i curdi siriani lontano dai suoi confini, Damasco non vuole perdere territori dopo tutti questi anni di guerra civile, Mosca non vuole perdere la faccia obbligando uno degli ultimi veri alleati che gli rimane a cedere alle pressioni di Erdogan, dimostrandosi debole come nel conflitto tra Armenia e Azerbaijan.

La macchina dei soccorsi offre a ognuna delle parti la possibilità di aumentare la propria presenza territoriale e di conquistare posizioni di consenso tra le popolazioni locali, con Putin che cercherà di sfruttare il momento di bisogno di Erdogan, che a sua volta si rivolgerà agli alleati occidentali per non farsi mettere all’angolo dal Cremlino.

Non sarà una tragedia a limitare le ambizioni e l’istinto di sopravvivenza di leader e nazioni, e non appena sarà superata la fase dell’emergenza non tarderà a subentrare la fase del cinismo e del calcolo geopolitico.