La Settimana Internazionale

Turchia, le scosse hanno minato anche il futuro di Erdogan

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di Attilio Geroni

Il futuro politico di Recep Tayyip Erdogan è più incerto dopo il devastante terremoto che ha colpito la Turchia. Ritardi nei soccorsi, carenze strutturali in molti degli edifici distrutti e numerosi segnali inascoltati degli esperti sul rischio sismico e sulla preparazione del territorio a questo rischio, sono le accuse che hanno accompagnato la tragedia.

Lo stesso presidente ha ammesso che la risposta non è stata ottimale promettendo una ricostruzione la più rapida possibile. Il governo di Ankara ha dato una prima stima a riguardo, 50 miliardi di dollari, mentre la Confederazione delle imprese turche calcola una cifra maggiore, 84 miliardi di dollari, così suddivisa: 70,8 miliardi per gli edifici distrutti o da riparare e relative infrastrutture; 10,4 miliardi come perdita di reddito nazionale e 2,9 miliardi in ore di lavoro perdute.

La sfida maggiore, sottolinea l’associazione, è legata alla ricostruzione edilizia, alle nuove dotazioni infrastrutturali e alla necessità di garantire un alloggio, a breve, medio e lungo termine, alle centinaia di migliaia di persone rimaste senza casa. Sono 13,4 milioni le persone che vivono nelle 10 province colpite dal sisma, pari al 15% della popolazione e con una quota del 10% del Pil nazionale.

Mahmoud Mohjeddin, economista e direttore esecutivo del Fondo monetario internazionale, ritiene che l’impatto sul Pil non sarà così pesante come fu in occasione del terremoto del 1999, che colpì soprattutto la parte Nord-Occidentale della Turchia, il cuore industriale del Paese, e pensa che nel medio-lungo termine ci sarà un impulso positivo alla crescita grazie allo sforzo della ricostruzione.

Ciononostante, altri analisti ritengono che nel breve Ankara sarà costretta a rivedere al ribasso le sue stime, almeno di due punti percentuali. Per l’anno scorso le autorità turche hanno previsto una crescita del 5 per cento. Quest’anno, sempre secondo stime governative ovviamente antecedenti al sisma, si scommetteva su un’accelerazione al 5,5 per cento.

Ma a preoccupare di più Erdogan, da anni artefice di una strategia economico-monetaria che ha scelto di curare l’elevata inflazione riducendo i tassi d’interesse, sono le possibili conseguenze politiche della gestione del dopo terremoto. Incombono infatti, tra la tarda primavera e l’estate, le elezioni generali (parlamentari e presidenziali), appuntamento al quale il presidente arriva con 20 anni di potere alle spalle e un certo logoramento.

Con un’inflazione al 54%, completamente fuori controllo, Erdogan non potrà giocarsi la carta economica al voto, mentre l’opposizione è subito passata all’attacco accusando il presidente e il suo partito, l’AKP, di incompetenza e di aver mal gestito le risorse create con le due tasse di solidarietà per il terremoto dopo il sisma del 1999.

Questi fondi, che avevano portato alle casse dello Stato turco l’equivalente di 4,6 miliardi di dollari, dovevano servire a rendere più resistente alle scosse il patrimonio edilizio del Paese. Invece, alcuni esperti di pianificazione urbanistica hanno evidenziato il possibile effetto negativo di una sanatoria introdotta nel 2018 che ha lasciato 6 milioni di edifici senza migliorie nonostante la violazione del codice delle costruzioni. Secondo Pelin Pinar Giritlioglu, esperto dell’Università di Istanbul citato dalla BBC, in 10 città colpite dal terremoto erano state presentate 100mila richieste di condono.

In un modo o nell’altro la tragedia, per la quale alla fine si stima un numero superiore ai 50mila morti, influenzerà l’esito di un voto che potrebbe, come suggerito da Erdogan nei mesi scorsi, tenersi in anticipo, il 14 maggio. Senza dimenticare che il sisma del 1999 fu in qualche modo funzionale all’ascesa del leader turco.