La Settimana Internazionale

Tutti i pericoli del dopo Putin

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di Federico Bosco

Vladimir Putin ha detto  che l’obiettivo dichiarato della NATO è «distruggere la Russia» e smembrarla come accadde all’Unione Sovietica, trasformando quella che aveva annunciato come un’operazione militare speciale per “de-nazificare” l’Ucraina in una crociata per salvare la Russia dall’attacco dell’Occidente e spingendo la sua retorica oltre il punto di non ritorno.

Ma mentre Putin dice ai russi che stanno combattendo una guerra eterna per la sopravvivenza della Patria, analisti e diplomatici dei Paesi occidentali si chiedono realmente, con timore, quali potrebbero essere le conseguenze di una disgregazione della Federazione Russa in caso di una debacle in Ucraina. Secondo gli esperti lo scenario è improbabile ma non impossibile, un rischio che solleva preoccupazioni su entrambe le sponde dell’Atlantico e viene analizzato (con molta discrezione) dai principali centri studi e dai governi occidentali.

Gli scenari valutati vanno da un’ondata di rivolte tra lo Stato centrale e alcuni dei 21 territori etnici della Russia, a una deriva su vasta scala con un vuoto di potere a Mosca e conflitti tra territori e fazioni simile a quelle dei Paesi africani e mediorientali. Ogni scenario rappresenta una grave minaccia alla stabilità regionale, con conseguenze profonde per l’economia globale e per la sicurezza in Europa e Asia. L’argomento però è talmente delicato che i funzionari si rifiutano di parlarne pubblicamente per non offrire a Mosca degli spunti per alimentare la propaganda.

Questi messaggi infatti spaventano un Paese che nella storia è stato sconvolto più volte dalle guerre, ed è ancora traumatizzato dal crollo dell’Unione Sovietica. A impedire lo spargimento di sangue nel 1991 fu la volontà del Cremlino di non opporsi allo smantellamento dell’Unione Sovietica, ma è difficile immaginare che Putin, o un potenziale successore, riconoscerebbero pacificamente dichiarazioni di indipendenza di regioni come il Bashkortostan negli Urali meridionali o della Siberia, dove sono concentrate la maggior parte delle risorse naturali.

Negli anni ’90 la separazione delle 15 nazioni sovietiche si svolse in modo per lo più pacifico, l’Unione Sovietica era composta da repubbliche socialiste federate e la disgregazione è stata relativamente semplice da un punto di vista legale. Al contrario, la Federazione Russa è un singolo Paese che, nonostante il nome, ha un’amministrazione centrale molto potente da cui è difficile separarsi. Inoltre, nell’Unione Sovietica la metà dei cittadini non era russa, mentre nella Russia di oggi l’80 per cento della popolazione si identifica come russa e non è disposta ad accettare mutilazioni territoriali.

Putin non ha mai nascosto la sua ostilità nei confronti di qualsiasi movimento indipendentista, a renderlo popolare tra i russi negli anni 2000 fu proprio la sanguinosa guerra contro i separatisti della Cecenia. Qualsiasi mossa per liberarsi dal controllo di Mosca scatenerebbe un conflitto interno tra il governo centrale e i separatisti, che potrebbe anche diventare uno scontro tra diverse regioni per definire i confini e assicurarsi il controllo delle risorse naturali, trasformando parte della Russia in un non-stato come la Libia dopo la caduta di Muammar Gheddafi.

A rendere ancora più allarmante lo scenario è il destino dell’arsenale nucleare del Paese, il più vasto del mondo. Tuttavia, secondo gli analisti rispetto al crollo dell’Unione Sovietica la minaccia è minore per il semplice motivo che il Cremlino non dovrebbe aver posizionato armi nucleari nelle regioni potenzialmente ribelli. In questo senso una prospettiva più preoccupante è lo scoppio del conflitto tra membri e fazioni dell’establishment russo con una lotta per il controllo delle forze armate.

Nelle ultime settimane infatti sono emerse le lotte intestine tra Yevgeny Prigozhin, capo del gruppo Wagner, e i vertici della difesa Sergei Shoigu e Valery Gerasimov. Prigozhin – uomo fidato di Putin i cui soldati mercenari combattono intensamente in Ucraina – ha accusato i vertici militari di negare ai suoi uomini  i rifornimenti di munizioni e il trasporto aereo, bollando le loro azioni come un potenziale “alto tradimento”. Il risultato è che Prigozhin è stato oscurato dai media statali, ma l’accaduto rivela il malessere interno del sistema di potere russo.

Un’altra domanda al centro di qualsiasi scenario di disintegrazione russa è il ruolo che giocherebbe la Cina. L’instabilità nel Paese vicino ricco di risorse offrirebbe a Pechino una serie di opportunità per soddisfare il suo vorace appetito per le materie prime, ma la maggior parte degli osservatori ritiene che non cercherebbe di ridisegnare i confini della Russia, preferendo la stabilità e la sopravvivenza del Paese nella sua forma attuale.

Ciò che è chiaro però è che mentre una deflagrazione paragonabile all’implosione dell’Unione Sovietica viene  considerata come un rischio a bassa probabilità, la possibilità che il tentativo di Putin di ricostruire il “mondo russo” finisca per costare alla Russia almeno una parte del territorio è molto più realistica.