La Settimana Politica

Abbassare le tasse? Speriamo sia la volta buona

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di Silvio Magnozzi

Tasse e libertà. Nel mondo democratico e liberale trattasi da sempre di un binomio che misura quanto pesi lo Stato e quanto sia libero l’individuo. Andando parecchio indietro nel tempo, non a caso, vediamo che la rivoluzione americana è partita da un semplice slogan: “No Taxation without Representation”. Che tradotto suona come: niente tasse senza rappresentanza. Insomma, senza democrazia.

Noi, che non viviamo nell’America del passato bensì nell’Italia del 2023, vogliamo mettere l’accento sulla questione (eterna nel dibattito, ma mai resa reale nella vita) della necessità di una riduzione delle tasse nel nostro Paese. Lo facciamo perché in questi giorni di giugno, in Italia, è caduto il giorno della liberazione fiscale.

Secondo il calcolo effettuato dall’ufficio studi della Cgia di Mestre (Venezia), questa data liberatoria è segnata, per quest’anno, all’8 di giugno. Ma al di là della ricorrenza mobile della liberazione fiscale (non è con una data che si cambia il rapporto fra lo Stato e il contribuente), la sostanza della questione sta soprattutto nei costi che ogni cittadino (e cittadina) italiano paga con le proprie tasse.

I contribuenti infatti nel 2023 hanno terminato di pagare le tasse, le imposte, i tributi e i contributi sociali necessari per far funzionare le scuole, gli ospedali, i trasporti, per pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici e le pensioni, per adempiere a tutti i versamenti fiscali previsti, dopo 158 giorni di lavoro, sabati e domeniche inclusi.

Sempre dai calcoli della Cgia di Mestre rispetto alla data della liberazione fiscale italiana, la stima del Prodotto interno lordo nazionale prevista quest’anno (2.018.045 milioni di euro) è stata suddivisa per 365 giorni, ottenendo così un dato medio giornaliero di 5.528,9 milioni.

Le previsioni di gettito delle imposte, delle tasse e dei contributi, 874.132 milioni, sono state quindi rapportate al Pil giornaliero. Il tax freedom day (il giorno della liberazione fiscale) del 2023 è stato calcolato in questo modo in 158 giorni dall’inizio dell’anno.

Guardando alla storia recente delle tasse e del loro peso nelle vite degli italiani, vediamo poi che dal 1995, il “giorno di liberazione fiscale” meno in là nel calendario è stato nel 2005, anno in cui la pressione fiscale si attestò al 39% e ai contribuenti italiani bastò raggiungere il 23 maggio (142 giorni lavorativi) per versare il dovuto al fisco. Quello più in “ritardo”, invece, si è registrato il 9 giugno dello scorso anno, con una pressione fiscale pari al 43,5%.

Oltre ai numeri e alla cronologia, però, la domanda sostanziale è quella che attiene alla politica e che la investe delle sue responsabilità. In Italia si parla di riforma fiscale e di ridurre le tasse (per quelli che le pagano) da alcuni decenni. Perché, fuor dalle promesse, questo non è mai accaduto in maniera sensibile e strutturale? Fra le risposte vedrete scorrere varie ragioni, fra cui quella che l’Italia ha un debito molto alto.

Una sorta di tutto cambi (gli annunci della riduzione delle tasse) perché nulla cambi (ovvero che le tasse restino alte causa debito). Un gattopardismo adatto al Novecento ma non al presente.

Per cui – con tutto il cuore ma soprattutto con tutta la ragione – ci auguriamo che questa sia la volta buona e che il governo di centrodestra abbassi davvero le tasse agli italiani.