La Settimana Politica

Albertini: il comune di Milano torni a scelte coraggiose

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di Beppe Ceccato

Si definisce un osservatore, le esperienze di politica e governo le ha fatte perché ci credeva, senza mai sottostare ai diktat del capo bastone di turno. Stiamo parlando di Gabriele Albertini, 73 anni compiuti il 6 luglio scorso, laurea in giurisprudenza, alla guida con il fratello dell’azienda di famiglia, molti incarichi datoriali, poi due mandati da sindaco di Milano, deputato europeo, senatore. Oggi, osservatore autonomo. “Posizione” che ricopre con la stessa libertà di pensiero che ha avuto in tutti i suoi precedenti incarichi.

Cosa sta succedendo a Milano, non la vedo più così effervescente, si son tirati i remi in barca?

In un certo senso convengo. Nel 2019 Milano registrava oltre 500mila visitatori in più del fatidico 2015, anno di Expo, dove s’erano create le condizioni per mostrare ciò che la città stava esprimendo attraverso la rigenerazione urbanistica, vero cambiamento di scenario dagli anni della nostra amministrazione a oggi. Poi è arrivato il Covid che ha avuto in Lombardia, a Bergamo ma anche a Milano, l’epicentro della sua intensità. Nel capoluogo per ovvi motivi: è una città che ha sempre avuto la capacità di intrecciare culture, di internazionalizzarsi. Milano è come un tessuto nervoso, la definisco con una bizzarria semantica una città neuronale, nel senso che le sinapsi tra il mondo interno ed esterno sono enormemente sviluppate. Se in un tessuto muscolare una parte anche abbastanza estesa va in necrosi per un trauma non succede quasi niente, ma se un centimetro cubo di cervello non funziona più il nostro corpo ne risente. Milano è così, è stata colpita nella dimensione più congeniale al suo essere e da allora ha cercato di risollevarsi ma l’ha fatto con la criticità di questa metafora. Aggiungo: c’è forse un’amministrazione che, rispetto a questo scenario, ha una visione un po’ diversa da quella che sarebbe appropriata in una situazione di questo genere: come nel caso dell’incidente neuronale (se viene superato poi necessita di una lunga riabilitazione), così ci vorrebbe un’amministrazione che invece di acconsentire ultra vires a posizioni “verdi talebane”, prendesse in mano con coraggio le opportunità che si presentano.

Per esempio?

San Siro-Meazza, un’occasione persa. Un nuovo stadio e una rigenerazione urbana con capitali del mondo (si prevedeva un miliardo e mezzo di investimenti) era un’ulteriore possibilità di modernizzazione per il capoluogo quanto mai auspicabile. Tutto questo andar oltre, non valorizzare quello che il territorio esprime, aggrava la situazione e non facilita quel recupero di cui accennavo prima.

Come molte aziende, anche le città come Milano puntano sulla sostenibilità. È un mantra!

La sensibilità ecologica è un must per chiunque governi e per chi è governato, ci stiamo rendendo contro che questo impetuoso sviluppo dei paesi nel mondo, soprattutto quelli del Bric, verso una industrializzazione richiede una sostenibilità, in sintesi sviluppo industriale con minimi danni ambientali. Uno scenario da affrontare ma questa amministrazione ha fatto una scelta fuorviante: se l’è presa in maniera impetuosa e unidirezionale con l’utilizzo dell’auto. Quando ero vicepresidente della Commissione trasporti del parlamento europeo ricordo che era stato commissionato uno studio su tutto il territorio della Ue per individuare le ragioni dell’inquinamento. La cosa sorprendente, applicata all’iperbole di cancellare le strade e di far girare le biciclette, era questa: i trasporti, ma tutti i trasporti non solo le auto, quindi anche quelli marittimi e aerei (questi ultimi enormemente inquinanti) sono i responsabili del 23% dell’inquinamento globale, il restante 77% è equamente distribuito fra le altre tre cause di inquinamento, la produzione industriale, quella di energia e il riscaldamento. Su queste cosa si fa? Concettualmente il non usare l’auto non è la risposta all’inquinamento e alla qualità urbana perché l’intervento sulla mobilità non può essere incentrato sul non uso coatto della propria vettura ma sull’offrire alternative che la considerano una scelta opportuna piuttosto che un’imposizione. Per esempio, auto parcheggiate sottoterra, con strade più ampie e veicoli che si muovono più rapidamente, mezzi meno inquinanti, incentivando, non obbligando a disfarsi della propria auto.

Da osservatore privilegiato sostiene che una vitalità economica sarebbe quanto mai utile in questo momento…

È una situazione comunque critica dove c’è un abbassamento del reddito diffuso. La sola inflazione lo genera: il 9% vuol dire che abbiamo meno risorse in termini corrispondenti. Ce la prendiamo con i tassi ma qualsiasi tasso che sia inferiore all’inflazione è un guadagno per il debitore e una perdita per il creditore, dovremmo riflettere. La Lagarde fa il suo lavoro, però vuol dire che il sistema bancario se aumenta dell’1% perde l’8. In questo scenario Milano ha bisogno di utilizzare appieno tutte le risorse e le proposte, quel grande dinamismo che è la comunità del business, della finanza, delle startup, di tutte quelle capacità di innovazione e di attrattiva dei capitali stranieri. Sono ormai 40 miliardi gli investimenti della comunità internazionale su un territorio che è il settimo di Roma. Milano ha bisogno di ciò, ma quest’amministrazione sembra invece frenare. Se tu sei il sindaco, hai la schiena dritta e non hai compromissioni con poteri altri, sai fare queste scelte in modo che nessuno possa dire che sotto c’è qualcosa di iniquo. Ho fatto il sindaco per nove anni e ho avuto due commissariamenti. Con questa responsabilità ho speso oltre tre miliardi di euro da solo e senza un avviso di garanzia. Si può fare, bisogna preparare le cose perché la corruzione sia allontanata con atti predittivi oltre che punitivi.

Lo spiega bene nel suo libro Rivoglio la mia Milano arrivato alla terza edizione…

Il libro è nato come campagna elettorale, eravamo però in quella fase in cui ero incerto se accettare o meno. Quando la lavorazione era abbastanza avanzata e io non ero nella condizione di accettare ho deciso di parlare delle mie altre esperienze, come parlamentare europeo e come senatore. Quindi era Rivoglio la mia Milano ma da chi da sindaco ha fatto altro.

La magistratura è uno di questi capitoli.

Con la magistratura ho iniziato un rapporto idilliaco, ricordo il grande disagio di Berlusconi, ma quello che abbiamo potuto fare lo abbiamo fatto grazie al rapporto stretto con la procura della repubblica di Milano, con Borrelli. Colombo, la dottoressa Ciaravolo, Gittardi, tre pubblici ministeri in servizio, e tre dirigenti apicali del Comune avevano dato vita, anticipando l’Anac di Cantone, a un gruppo di lavoro denominato Ali Babà! Tra i tanti atti di questa commissione ne cito solo uno: siamo stati il primo comune in Italia che ha introdotto come formalità necessaria per accedere ai bandi di concorso per qualsiasi tipo di fornitura per beni o servizi al comune dei Patti di Integrità. Le cose sono cambiate quando sono entrato in conflitto con un magistrato che le sezioni unite della Cassazione hanno “bandito da Milano e trasferito a Torino per gravi motivi disciplinari…, decurtato di 6 mesi d’anzianità per le stesse gravi scorrettezze e degradato da aggiunto a sostituto Procuratore”. Una vicenda che racconto nei minimi particolari nel libro.

Sarebbe disponibile a lavorare ancora per Milano?

Avrei desiderato anche in tempi recenti avere un’esperienza da ministro. Ho avuto cinque opportunità, due le ho rifiutate io, nelle altre tre si sono ritirati loro. Sono una persona leale ma fiduciario di nessuno se non della mia coscienza.