La Settimana Politica

Corsa contro il tempo per un altro Natale con la manovra

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di Gabriele Politi

Il Governo è nel bel mezzo…di un guado, diranno alcuni. Quel guado ha un nome: Legge di Bilancio. Questi sono i giorni decisivi che per la premier Giorgia Meloni e il suo esecutivo dovranno portare all’approvazione della manovra tra Natale e la fine dell’anno per scongiurare lo spauracchio del temutissimo esercizio provvisorio.

Riposti nel cassetto i sogni di ottobre del Presidente del Consiglio e del suo ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti (zero emendamenti della maggioranza, iter veloce tra Commissioni e rami del Parlamento per giungere al sì definitivo già a metà dicembre), lo scenario che si è dispiegato racconta una realtà che nei prossimi giorni sarà diversa e tutt’altro che blindata: dopo quelli sulle pensioni dei medici e di altre categorie della PA, sui fondi per la sicurezza e per le amministrazioni locali (un tesoretto da 100 milioni su cui le opposizioni hanno scatenato la bagarre) lunedì scorso doveva essere depositato in Commissione Bilancio del Senato l’ultimo pacchetto degli emendamenti di governo, in particolare quelli sulle coperture per il Ponte sullo Stretto e la loro diversa strutturazione sui conti dello Stato e delle Regioni coinvolte. E invece, altro stallo.

La sottosegretaria all’Economia Lucia Albano ha preso atto dei ritardi del governo – mancavano anche gli emendamenti dei relatori – e ha sconvocato la seduta dopo nemmeno un’ora, tra il caos e le proteste dell’opposizione. Martedì mattina Giorgetti, con un laconico comunicato del Mef di tre righe, ha stoppato il tentativo di FI di allungare i tempi del Superbonus: «Nessuna modifica che comporti ulteriore spesa».

La road-map adesso è serratissima: discussione in Aula a Palazzo Madama dal 18 dicembre (anziché l’11, primo intoppo che Meloni e i suoi avrebbero volentieri evitato) e poi al galoppo fino alla Camera per giungere all’approvazione definitiva della manovra che a questo punto non potrà che arrivare al fotofinish nella settimana tra Natale e l’ultimo dell’anno. Nonostante il disegno di Legge di Bilancio debba essere trasmesso alle Camere dall’esecutivo di turno entro il 20 ottobre, dalla scorsa legislatura questo termine non è stato rispettato da nessun governo.

Quello guidato da Meloni non fa eccezione: il percorso che negli intenti doveva essere il più possibile liscio e senza intoppi si sta rivelando piuttosto accidentato. Tra gli emendamenti depositati dal governo nella serata di giovedì quello più discusso è stato lo stanziamento per le forze dell’Ordine (Polizia, Esercito, Vigili del Fuoco). Per stanare dalle pieghe del bilancio i 100 milioni è stata dimezzata la dote per consentire le modifiche parlamentari (da 100 milioni a 50) e tagliato di 15 milioni l’anno per tre anni, per complessivi 45 milioni, il nuovo fondo per l’accoglienza dei migranti e dei minori non accompagnati, predisposto ad hoc proprio dall’esecutivo con il decreto Anticipi.

Con questo meccanismo contabile si sono reperite le risorse così distribuite: un fondo da 32 milioni per il biennio 2024-2025 e 42 milioni di euro all’anno dal 2026 per l’aumento delle risorse destinate ai trattamenti economici accessori del comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico. 38,3 milioni di euro annui dal 2024 al 2026 saranno a disposizione del personale di Forze di polizia, Forze armate e Corpo dei Vigili del fuoco per contrarre polizze assicurative per copertura sanitaria e infortunistica complementare e integrativa. Denaro attinto non solo dal fondo migranti ma anche da risorse dei ministeri dell’Economia, della Giustizia, dell’Interno, delle Infrastrutture e della Difesa (30 milioni nel 2024 e 35 dal 2025).

Anche il tesoretto per le modifiche parlamentari (nel testo base della manovra aumentato strutturalmente di 100 milioni l’anno) viene diminuito sia per il prossimo sia per quelli a venire: circa 48 milioni in meno nel 2025 e 2026 e circa 25 milioni nel 2027.

Il relatore di FI Dario Damiani ha promesso che quei soldi saranno ripristinati ma le opposizioni, Movimento Cinque Stelle in primis, hanno fatto sapere che d’ora in poi non ci sarà più alcuna condivisione del percorso. Anche l’intervento più atteso sulle pensioni di alcune categorie della pubblica amministrazione non ha placato le proteste: la correzione (niente penalizzazione sul calcolo dell’assegno di vecchiaia e sui trattamenti anticipati purché maturati entro il 31 dicembre 2023, riduzione delle aliquote di rendimento per tutte le pensioni anticipate con sistema misto maturate dal 2024, con un taglio che si alleggerisce per il personale sanitario.

Dal 2025, invece, si allungano le finestre di decorrenza per le pensioni anticipate, che a regime – dal 2028 – dureranno addirittura nove mesi) non convince né le minoranze né i sindacati, nemmeno quelli dei medici, che infatti hanno confermato lo sciopero nazionale del 18 dicembre. Per il Governo, l’unica soluzione adesso è pigiare sul pedale dell’acceleratore.