La Settimana Politica

Dopo la sconfitta sarda Meloni prova a blindare l’Abruzzo

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«Ho perso ma non posso affogare nell’alcol», ha provato a scherzare Giorgia Meloni incontrando ieri sera a Roma i corrispondenti della stampa estera nella tradizionale cena all’Hotel Cavalieri. Niente vino lenitivo ma qualche passo di danza sulle note di Michael Jackson e della sua Billie Jean, un volteggio magari non leggiadro come quello della popstar americana ma sufficiente a schivare le tensioni e provare a riaccendere la luce (ricordate il mitico video di Steve Barron con le piastrelle che si illuminavano a ogni singolo passo del re del pop?) sulle strategie del centrodestra verso i prossimi appuntamenti elettorali.

Parola d’ordine: dimenticare quanto prima la sconfitta sarda ed evitare, soprattutto, che diventi un pericoloso precedente

Per ottenere il primo scopo la parola d’ordine è quella che risuona già da ore: oltre le generali assunzioni di responsabilità, addossare il peso del flop al sindaco di Cagliari Paolo Truzzu (i 5379 voti mancanti sono tutti suoi, c’è poco da fare, staccato di oltre 18 punti nella sua città) e sottolineare con soddisfazione, pur se sterile visto l’esito finale, il risultato della coalizione, che con il suo complessivo 48,8% ha preso più voti di quella avversaria, ferma al 42,6%. Sono quasi 334mila voti per l’alleanza a trazione meloniana contro i 328mila presi dal candidato imposto a forza dalla premier.

Fatale fu dunque il voto disgiunto e da via della Scrofa guardano con sospetto i leghisti, orfani del proprio governatore uscente Christian Solinas per cui era stato chiesto fino all’ultimo il bis. Il quieto vivere che Salvini ha messo a malincuore in atto cedendo sul nome di Truzzu ora viene visto da alcuni grandi vecchi del Carroccio come il segnale inequivocabile che alla leadership leghista serva un cambio di passo.

L’ex ministro Claudio Castelli lo ha ammesso apertis verbis: bisogna pensare a un ricambio ai vertici

Il nome nessuno lo fa ma tutti gli indizi portano al governatore friulano Massimiliano Fedriga, anche presidente della Conferenza delle Regioni. Che la Lega se la veda con le proprie fronde interne, è il segnale che trapela dagli alleati, ma con le imminenti scadenze elettorali amministrative ed europee non è opportuno che si aggiunga ulteriore benzina sul fuoco della coalizione. Ecco quindi che le discussioni sulle candidature di Piemonte e Basilicata improvvisamente paiono perdere di consistenza; nel corso del vertice di maggioranza di ieri FdI ha di fatto stampato il nulla osta alle riconferme delle candidature dei governatori uscenti Alberto Cirio e Vito Bardi, entrambi di Forza Italia, e aperto alla riconferma in Umbria della governatrice leghista Donatella Tesei.

Più complesso il discorso sull’Abruzzo, dove il 10 marzo il presidente uscente Marco Marsilio, fedelissimo della premier, andrà alla caccia del secondo mandato sfidando l’ex rettore dell’Università di Teramo Luciano D’Amico, sostenuto da una coalizione che per la prima volta può davvero fregiarsi della definizione di “campo largo”: Pd, M5s, Azione, Italia Viva e diverse liste civiche – sulla scia della Sardegna – adesso fanno molta più paura e lasciano intuire che il risultato non sarà affatto scontato.

Detto questo, la “luna di miele” sarda tra Dem e grillini pare già scricchiolare: il leader pentastellato Giuseppe Conte, intervistato a DiMArtedì da Giovanni Floris è tornato a fare i distinguo con la segretaria Elly Schlein in pratica su tutto e in particolare sulla guerra in Ucraina (riferendosi a Zelensky Conte ha sibilato che «qualche volta potrebbe anche indossare abiti civili»). Il Pd è il primo partito del Consiglio Regionale Sardo con 11 seggi. La neogovernatrice Alessandra Todde, espressione politica dei Cinque stelle, dovrà iniziare da qui.