La Settimana Politica

Gli sfidanti del Cav e la difficile pace con il passato

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di Vanessa Ciccarelli

Silvio Berlusconi è ora “davanti all’ultimo giudice”. È la fine della Seconda Repubblica, perfino nella dipartita il Cavaliere sembra aver creato uno spartiacque tra chi, nonostante le ostilità sia politiche sia personali, lo commemora con profondo rispetto e chi non ne vuole sapere di deporre le armi.

Come il Fatto Quotidiano, il primo giornale “nemico” diretto da Marco Travaglio, che ha guidato la macchina del fango contro il leader scomparso nella mattinata di lunedì mettendolo alla sbarra.

Ha suscitato profonda indignazione l’articolo che lo ricordava come «Primo dei populisti, recordman di inchieste dalla corruzione alla mafia e mago della comunicazione», con un’immagine a corredo che ritraeva il Cav di spalle e la figura sfocata di una donna che lo chiama.

Anche molti giornali della stampa estera ricordano più che la figura del leader politico, quella di un uomo e gli scandali sessuali che lo hanno travolto negli infiniti processi giudiziari che lo hanno prima spodestato da Senatore, dieci anni fa, e che ora si sono risolti.

C’era da aspettarselo? Succede spesso che la notizia della morte di figure carismatiche alimenti il dubbio tra chi vorrebbe glorificare la persona scomparsa ricordandone le gesta e chi ne ricorda i misfatti.

Ma questa volta era diverso, ci si attendeva che la fine di un uomo, di un leader che con la sua figura politica ha segnato radicalmente la storia di questo Paese, portasse con sé la riappacificazione.

Qualunque sia l’ideologia che si voglia seguire, con la morte di Silvio Berlusconi si chiude un’era che inevitabilmente segna un prima e un dopo nel mondo politico, europeo, internazionale ma soprattutto nella politica interna che ha una responsabilità ancora più grande adesso, quella di portare avanti il progetto del fondatore del centrodestra di Governo aprendo le porte alla Terza Repubblica con Giorgia Meloni, suo ex ministro della Gioventù.

Un mondo che non gli ha fatto sconti, perché il Presidente di Forza Italia di “giudici”, come titola il Fatto Quotidiano, ne ha avuti parecchi. Soprattutto quando decise di scendere in campo contro la “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto.

La storia la conosciamo, quel “giovane” imprenditore milanese sbaragliò la concorrenza politica e da lì le inchieste giudiziarie iniziarono a piovergli addosso. Se ne è andato da incensurato, proprio lui, il più perseguitato dalla magistratura con oltre 30 processi alle spalle, una magistratura che però questa volta davanti alla morte ha svelato il suo volto umano: «Credo che sia giusto partecipare al lutto della famiglia» ha commentato il procuratore capo di Milano Marcello Viola appena appresa la tragica notizia.

Abbiamo assistito a una politica nazionale che si è fermata cancellando tutti gli appuntamenti istituzionali, da Giuseppe Conte a Elly Schlein a Matteo Renzi, a Carlo Calenda, Mara Carfagna e non sono mancati i messaggi di cordoglio anche dai suoi più grandi avversari politici della storia. Da Achille Occhetto, che lo ha ricordato come «una persona che merita grande rispetto», a Romano Prodi che lo ha salutato con «un dispiacere immenso per la scomparsa di una figura politica che ha esercitato una grande influenza non solo nelle Istituzioni ma anche nella vita dei cittadini di questo Paese».

Commosso il saluto anche delle figure più controverse della carriera politica del Cav, dal suo ex consigliere Angelino Alfano, che lo ha commemorato come un uomo «al quale sono stato profondamente legato nonostante il nostro allontanamento politico fu un trauma profondo», all’ultimo saluto più inaspettato ma forse più profondo di Gianfranco Fini che lo ha rimpianto come «un caro amico che mi fu di conforto quando persi mia madre».