La Settimana Politica

La partita di Meloni tra Quirinale e voto UE

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di Federico Bosco

La luna di miele di Giorgia Meloni con l’opinione pubblica italiana forse sta continuando, ma non si può dire lo stesso del momento d’oro di fiducia e ottimismo che gli era stato riservato dalle grandi istituzioni nazionali ed europee.

Venerdì scorso la premier è stata inviata a pranzo dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella per una lunga conversazione tra le mura del Quirinale, talmente lunga che Meloni ha dovuto rivedere la sua agenda annullando la tappa in Friuli-Venezia Giulia per chiudere la campagna elettorale per le regionali insieme agli alleati.

L’appuntamento con Mattarella era in agenda, assicurano dallo staff della premier, ma nessuno lo aveva annunciato. Il colloquio è stato «cordiale e collaborativo» hanno affermato gli uffici stampa, ma di certo è arrivato in un momento intenso per il governo Meloni, tra frizioni interne alla maggioranza, scivoloni di ministri e illustri esponenti di partito, e soprattutto quel terzo rinvio consecutivo della tranche del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR).

Secondo fonti di stampa, qualche giorno prima di incontrare la premier Mattarella avrebbe ricevuto l’ex presidente del Consiglio Mario Draghi per discutere del PNRR (e non solo), una ricostruzione respinta fermamente e con fastidio dal Quirinale, che l’ha bollata come “fantasiosa”. Ma la domanda che non ha trovato risposta è chi ha cercato chi: è stata Meloni a cercare l’aiuto a Mattarella o il capo dello Stato a “precettarla“ per chiedere chiarimenti?

Mattarella non perde occasione per lanciare moniti sull’importanza del PNRR, qualche giorno prima in un intervento pubblico aveva addirittura citato Alcide De Gasperi sottolineando che è arrivato il momento per tutti di «mettersi alla stanga» a partire dall’attuazione del PNRR. Secondo le fonti, Mattarella ha insistito – con convinzione e nettezza – sulla necessità di non trascurare i rischi connessi ai ritardi nell’attuazione del piano, ribadendo a Meloni che l’interesse del Paese è l’unica bussola da seguire. Il Quirinale ritiene che non sfruttare l’occasione fornita dal Recovery Fund rappresenti una doppia sconfitta: l’Italia dimostra di essere irriformabile anche a suon di miliardi, e l’Europa deve rinunciare ai progetti di un’ulteriore integrazione con strumenti per il debito comune.

Il timore è che di fronte a difficoltà soverchianti il governo scelga lo scontro aperto con Bruxelles cedendo alla tentazione di riaccendere la fiamma sovranista, in vista delle elezioni europee dell’anno prossimo, dove Meloni ambisce a ribaltare i rapporti di forza del Parlamento europeo spezzando l’alleanza tra Popolari e Socialisti in favore dei Conservatori, di cui è la leader.

In questa prima fase della sua legislatura Meloni si è dimostrata molto positiva nei rapporti con l’Unione europea, un atteggiamento per certi versi inaspettato vista la retorica anti-Ue che ha caratterizzato i primi dieci anni di Fratelli d’Italia. Meloni ha anche mantenuto una linea fortemente atlantista e di netto sostegno all’Ucraina, nonostante la posizione più sfumata dei suoi alleati di coalizione e il sostegno vacillante nell’opinione pubblica italiana.

Tuttavia, finora queste posizioni non hanno avuto nessun costo politico per Meloni, che continua a restare alta nei sondaggi (dopo un periodo di appannamento) riuscendo anche ad allargare il suo consenso nel centro-destra senza alienarsi la base più radicale del suo partito, come dimostrato anche nelle elezioni regionali. Con un’opposizione divisa e confusa, partner di coalizione deboli e nessuna concorrenza nel suo partito, Meloni ha le mani libere per avere relazioni più costruttive con Bruxelles mentre persegue l’obiettivo di lungo termine di consolidare il ruolo di Fratelli d’Italia come la principale forza politica di destra del paese.

Ma di fronte ai fallimenti non c’è niente di sicuro, negli ultimi vent’anni i cicli della politica italiana hanno dimostrato di essere sempre più veloci e famelici nel distruggere i leader. Nel caso di Meloni, nessuna delle principali richieste dell’Italia all’Europa – specialmente sui migranti e sulla revisione del Patto di stabilità – sarà soddisfatta nel prossimo futuro. Da questo punto di vista neanche un trionfo alle elezioni europee cambierebbe le cose: i dossier europei che più interessano all’Italia vengono decisi dai capi di governo nel Consiglio europeo, non dagli europarlamentari, né dalla Commissione.

Meloni lo sa bene, e i primi segnali di un nervosismo che sta andando fuori controllo iniziano a manifestarsi. Secondo i retroscena, la premier sta dicendo ai suoi ministri di temere che gli inciampi del PNRR vengano usati “dai soliti” – ovvero il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz – per indebolirla prima delle elezioni europee poiché «dopo sarebbe troppo tardi», delineando quello che potrebbe diventare il tono della campagna elettorale: noi (patrioti e conservatori) contro il patto di francesi e tedeschi per impedire agli italiani di conquistare i vertici delle istituzioni di Bruxelles.

Pertanto, nonostante il tono costruttivo adottato da Meloni finora e le sue aspirazioni politiche di medio e lungo termine, le relazioni tra l’Italia e l’Europa sono destinate a diventare molto tese con il progredire dell’anno, e con esse le relazioni tra Palazzo Chigi e il Quirinale.