La Settimana Politica

La Sardegna ha risposto Todde e ora il Centrodestra teme l’effetto domino

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La Sardegna ha risposto alla politica dei manganelli. Questo più o meno il senso delle dichiarazioni della nuova governatrice isolana Alessandra Todde, eletta con il 45.4% dei voti dopo uno scrutinio lunghissimo e per molto tempo ad un’incollatura (quando non addirittura in svantaggio) dall’avversario del centrodestra Paolo Truzzu, sindaco FdI di Cagliari che proprio nel capoluogo di regione è stato praticamente doppiato dalla candidata di Pd, M5S, AvS e altri.

«Sono orgogliosa di essere il primo presidente sardo donna»
ha detto Todde, due lauree e quattro lingue parlate disinvoltamente, espressione del Movimento 5 Stelle, lanciata da Luigi Di Maio. Prima della sfida regionale di ieri non era molto conosciuta nell’isola, nonostante da viceministra avesse contribuito in maniera determinante al salvataggio di un’icona industriale del territorio come il birrificio Ichnusa.
A bocce non ancora del tutto ferme (al momento in cui scriviamo mancano 19 seggi da scrutinare su 1844) si può comunque disegnare il futuro parlamentino sardo con i seguenti numeri: 36 seggi (11 del Pd, primo partito in regione) su 60 andranno alla coalizione vittoriosa, eletta anche Camilla Soru, figlia di Renato, già governatore dal 2004 al 2009 che in questa tornata ha corso in solitaria raccogliendo comunque l’8,6% costringendo così al serrato testa a tesa la candidata del centrosinistra.
Se Giuseppe Conte ci ha messo la faccia e i dem di Elly Schlein i voti, gli sconfitti in queste prime ore post elettorali stanno alternando dichiarazioni pubbliche all’insegna dell’«abbiamo sbagliato ma faremo tesoro della sconfitta» a sanguinose rese dei conti interne.
A cominciare dalla premier Giorgia Meloni, che di fatto ha imposto il nome di Truzzu agli alleati salvo poi intestargli integralmente la colpa della sconfitta (proprio a Cagliari, di cui Paolo Truzzu è primo cittadino, la debacle è stata clamorosa, una bocciatura politica di cui FdI non potrà non tener conto in vista dei prossimi appuntamenti elettorali e che ha costretto perfino un quotidiano certo non nemico come il Giornale a parlare di un centrodestra forse un po’ troppo “arrogante”).
Si calcola che siano almeno 5mila i “franchi tiratori” che hanno impallinato il sindaco di Cagliari, facilmente individuabili – pensano a via della Scrofa – nei leghisti che si sono visti sbertucciare senza troppi complimenti l’ipotesi di un bis del governatore uscente Christian Solinas. Nel Carroccio la tensione è palpabile: da una parte Salvini ha scelto di abbandonare il CdM  dopo l’attacco su Pnrr e terzo mandato (FdI vuole porre la fiducia su entrambi) e rintuzzare le accuse della premier sul voto disgiunto che avrebbe spianato la strada a Todde.
Dall’altro, deve fare i conti con la fronda interna che comincia a mettere in discussione la sua leadership. Nel Nordest, dove la candidatura al terzo mandato del governatore veneto Luca Zaia è il totem su cui la Lega sta spendendo buona parte del proprio capitale politico, circolano già voci di un pesante dissenso che si starebbe concretizzando nella proposta di candidare a nuovo segretario di partito il presidente friulano Massimiliano Fedriga (e lo stesso Zaia pronto a confluire nella Liga Veneta se il terzo mandato dovesse venire bocciato dal Parlamento).
Sullo sfondo, nemmeno troppo lontano, le elezioni regionali in Abruzzo e Basilicata: in Abruzzo si vota il 10 marzo, in Basilicata il 21 e il 22 aprile. Poi sarà la volta dell’election day con le Europee, la regione Piemonte e più di 3.000 comuni. In Abruzzo, governato dal fedelissimo di Meloni Marco Marsilio, un’ampia coalizione di centrosinistra (dai rossoverdi ai centristi) adesso fa paura.

E con una Lega spaccata e ferita, per Giorgia Meloni si apre un periodo complicato e difficile.