La Settimana Politica

L’Abruzzo non tradisce Meloni, riconferma storica di Marco Marsilio

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Si pensava che fosse una sfida all’ultimo voto, vista l’incollatura certificata fino all’ultimo sondaggio prima del silenzio elettorale, e invece il tanto sperato – dal centrosinistra – e temuto – dal centrodestra – “effetto Sardegna” non si è visto.

Il risultato era già chiaro nella nottata ed è stato ribadito questa mattina a scrutinio concluso delle 1634 sezioni: il governatore uscente dell’Abruzzo Marco Marsilio si è confermato presidente di Regione con il 53,5% dei voti, staccando di 7 punti lo sfidante Luciano D’Amico, ex rettore dell’Università di Teramo: il cosiddetto “campo largo” si è fermato al 46,5%.

Con il bis, Marco Marsilio, 56 anni, ribadisce un record e ne stabilisce un secondo: nel 2019 è stato il primo presidente di Regione eletto con Fratelli d’Italia, oggi è il primo governatore dell’Abruzzo a centrare il secondo mandato in trent’anni di alternanza continua all’ombra del Gran Sasso. Deputato con il Popolo delle Libertà dal 2008 al 2013 e poi senatore di FdI dal 2018 al 2019, Marsilio è legato da lunga amicizia personale alla premier Giorgia Meloni (eletta alle ultime Politiche proprio nel collegio uninominale de L’Aquila). Residente a Roma, ha rivelato di aver fatto la spola tra la capitale e L’Aquila per presiedere le riunioni di Giunta e sembrava che questo potesse essere un ostacolo alla riconferma. Alle due di stanotte, invece, l’andamento del voto non ammetteva più dubbi: “Il testa a testa non è mai esistito” raccontava ai cronisti: “Il campo largo non è il futuro”.

Soddisfattissima la premier Giorgia Meloni che affida ai social il primo commento post-elezioni:

«È il primo presidente nella storia dell’Abruzzo a essere riconfermato dagli elettori per un secondo mandato. Ed è per noi motivo di grande orgoglio che i cittadini abruzzesi abbiano voluto continuare a dargli fiducia, e con lui a dare fiducia al centrodestra, che si conferma maggioritario. È una fiducia che non tradiremo. Continueremo a lavorare per restituire all’Abruzzo e all’Italia il posto che meritano»

L’affluenza più bassa di sempre – ieri ha votato il 52,2% degli oltre 1,2 milioni di abruzzesi aventi diritto contro quasi il 52,9% delle regionali 2019, un dato peggiore perfino di quello del 2008 quando il voto in regione seguì di pochi giorni l’arresto dell’allora governatore Ottaviano Del Turco per un’inchiesta sulla sanità pubblica – certo non ha aiutato il campo largo, anzi larghissimo, che sosteneva Luciano D’Amico: con il 20,2% dei voti il Pd si conferma comunque primo partito del centrosinistra e secondo assoluto dopo Fratelli d’Italia, che ha conquistato il 24,1%.

Nella coalizione di centrodestra si segnala l’exploit di Forza Italia, al 13,4%, che quasi doppia la Lega; il Carroccio crolla al 7,6% dopo che nel 2019 era stato il partito più votato con quasi il 25% dei consensi. Salvini parla di “buon risultato” ma in realtà mastica amaro e in molti sono pronti a giurare che all’interno del partito qualcuno stia già facendo partire una resa dei conti.

Dal canto suo Antonio Tajani gongola per aver traghettato gli azzurri al traguardo di seconda forza della coalizione e ha dedicato il risultato alla memoria di Silvio Berlusconi. FI ha guadagnato sia rispetto alle ultime Politiche sia rispetto alle precedenti Regionali, un buon auspicio per le prossime Europee di giugno.

Sull’altro fronte, il segretario dem Elly Schlein chiede che l’esperienza del campo largo prosegua e non venga dispersa, mentre Giuseppe Conte deve fare i conti con il flop del Movimento Cinque Stelle che ha raccolto appena il 7% dei voti dopo che nel 2019, con la candidata Sara Marcozzi, era arrivato al 19,7%. Un crollo di 12 punti percentuali che costringerà il leader grillino a una profonda riflessione sull’esperimento abruzzese, comunque unico e su cui l’intero centrosinistra dovrà soffermarsi a ragionare per il futuro.

Romano Prodi commenta il risultato con una metafora bucolica:

«Il campo largo va coltivato ancora, ci sono tanti contadini e i nostri sono aumentati ma non sono ancora abbastanza»

poi sprona Schlein a proseguire su questa strada: «È importante che il Pd cresca come sta crescendo», ha concluso l’ex premier.

Lo sguardo è già proiettato alla Basilicata, dove si voterà il 21 e il 22 aprile prossimi: il centrodestra ha da tempo riconfermato la candidatura del governatore uscente Vito Bardi di Forza Italia mentre nel centrosinistra l’intesa è da definire: in campo c’è ancora Angelo Chiorazzo, imprenditore sgradito ai Cinque Stelle, e l’eventuale sostituto dovrà avere il suo semaforo verde.

Nelle ultime ore sembra che l’accordo tra Pd e Movimento si stia avvicinando: «C’è ottimismo» fanno trapelare dalle stanze romane, ma sul metodo fin qui adottato si scagliano Azione e l’ex governatore Marcello Pittella:

«Tre persone chiuse in una stanza pensano di poter decidere per tutti. L’eventuale coalizione viene ignorata, e nel silenzio complessivo, ci si aspetta poi l’ubbidienza?”

si chiede l’ex presidente lucano. Il campo largo appena sconfitto in Abruzzo qui sembra già pronto al dietrofront.