La Settimana Politica

L’Italia cerca il rilancio con la buona tavola e la sponda Unesco

Scritto il

di Silvio Magnozzi

Cucinare è divago d’artista, ha detto una volta il filosofo francese Michel Foucault, ragion per cui visto il rapporto che gli italiani e le italiane hanno con il cibo e il piacere di cuocerlo, si può dire che siamo un popolo di artisti (oltreché di buongustai).

Battute a parte, la buona tavola così come tutto il settore dell’agroalimentare e della ristorazione rappresentano per l’Italia una fetta importante del Prodotto interno lordo e un vero brand che il mondo ci invidia.

Sarà sufficiente tutto ciò a far diventare la cucina del nostro Paese un patrimonio dell’umanità Unesco?

Lo scopriremo presto, visto che su proposta dei ministri dell’Agricoltura e sovranità alimentare Francesco Lollobrigida e della Cultura Gennaro Sangiuliano (con approvazione della Commissione nazionale all’unanimità) l’Italia è candidata.

Il dossier della candidatura italiana verrà trasmesso dal ministero degli Esteri all’Unesco e inizierà così l’iter di valutazione che dovrebbe concludersi, al più tardi, a dicembre del 2025. Nell’attesa, alcune considerazioni: economiche, politiche e culturali. Cominciamo da quest’ultime. Nel dossier preparato per la candidatura la cucina italiana viene definita come un insieme di pratiche sociali, di riti e di gestualità basate sui tanti saperi locali che, senza gerarchie, la identificano e la connotano.

Un mosaico di tradizioni che riflette la diversità bioculturale del nostro paese e si basa sul comune denominatore di concepire il momento della preparazione e del consumo del pasto come una occasione di condivisione e di confronto. Mangiare, dunque, in Italia non è soltanto una questione di mera sopravvivenza ma una vera identità, una condivisione sociale, una ricerca di gusto e di sapere (nel senso del conoscere, di cui l’assaggiare una pietanza è sicuramente una modalità).

Se dagli aspetti culturali andiamo poi all’economia vediamo che i numeri di questo settore sono – per l’Italia – considerevoli.

Stando a dati recenti la Dop economy (dove Dop sta per l’acronimo: Denominazione di origine protetta) entro la fine del 2023 produrrà valore per oltre 20 miliardi di euro. È quanto è emerso a Italia Next Dop, il primo simposio scientifico delle filiere Dop e Igp organizzato dalla Fondazione Qualivita (assieme a Origin Italia, Csqa, Agroqualità e Ipzs).

Tra Dop e Igp, l’Italia oggi conta infatti 845 produzioni a indicazione geografica, per un valore di 19,1 miliardi di euro, di cui 10,7 miliardi generati dall’export, cresciuto del 12,8%. I consorzi di tutela sono 291, i produttori impegnati oltre 198.800.

Posti di lavoro e benessere, dunque, intrecciati con la qualità dei prodotti italiani. E qui arriviamo all’ultimo aspetto delle tre considerazioni cui accennavamo poc’anzi, quello che riguarda la politica. Cosa può fare la politica per sostenere al meglio e per aiutare a crescere ancora di più un settore – quello del nostro cibo – già così conosciuto ovunque e vitale? Far riconoscere la cucina italiana un patrimonio dell’Unesco probabilmente – se la sfida andrà in porto – potrà aiutare. Perché cucinare significa usare prodotti e vivande e il nostro Paese ne ha tanti e di gran qualità da far invidia al mondo. Perciò, in attesa del responso dell’Unesco, cucinate gente. E buon appetito…