La Settimana Politica

L’Italia che avanza e la libertà nel pallone

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di Silvio Magnozzi

Il gioco del pallone non è fatto solo di pedate. È potenza, certo, ma anche astuzia, classe, grinta, estro, imprevedibilità e genio (quando c’è). Il tutto condito di agonismo sul campo.

Per questo, dopo la vittoria dello scudetto del Napoli, il terzo dopo i due dell’epoca partenopea di Diego Armando Maradona, è tempo di andare oltre la retorica, sportiva e sociale, che è corsa a fiumi in questi giorni sulla città. Metterla da parte e far largo – oltre Napoli –  allo spirito dei tempi di un Paese, l’Italia, dove il calcio è da sempre religione laica nazionale, fatta di guelfi e ghibellini a seconda delle diverse città e regioni, ma è anche politica e costume. Nei primi anni Ottanta, in un’Italia che usciva dagli anni di piombo con fatica, la vittoria della nazionale ai Mondiali di Spagna del 1982 fu sportiva certo ma anche politica, economica e culturale.

Segnò – a suon di gol diventati poi con le loro immagini una vera e propria iconografia di quegli anni – l’era dell’ottimismo (che negli Stati Uniti di Ronald Reagan già imperversava con quello stile di vivere che è stato definito l’edonismo reaganiano) che avrebbe portato ai magnifici  Ottanta (poi molto criticati), al mito della Milano da bere, persino allo sdoganamento dell’idea di patria e di nazione che era finita in castigo per decenni nel nostro Paese a causa delle colpe del fascismo.

La figura di Sandro Pertini, presidente della Repubblica e socialista, che esulta in tribuna a Madrid per le reti degli azzurri è sintesi fotografica e politica della forza di immagine e di vitalità del pallone (oltreché – ovviamente – di Pertini stesso). Così mentre Napoli festeggerà quest’anno ancora per giorni e giorni lo scudetto sotto al Vesuvio, ciò che più colpisce è la rinascita del pallone italiano nel calcio europeo dopo anni di mediocrità. Ben quattro squadre italiane sono nelle semifinali di tre diverse competizioni europee, Inter, Milan, Roma e Fiorentina, in una linea ideale che parte dal nord e arriva – se ci aggiungiamo lo scudetto napoletano – fino al sud.

Liquidare queste circostanze come casuali sarebbe un errore. Solo come colore, pure. È il Paese che si sta riprendendo, dopo tempacci, e il pallone è una delle sue aspirine. Del resto, andando di poco indietro nel tempo, a quell’epoca cupa del Covid che è alle nostre spalle, si vede che la vittoria agli Europei di calcio della nazionale italiana guidata da Roberto Mancini è stata qualcosa di più d’una vittoria pallonara e sportiva. È stata liberazione, ritorno alla vita, alla necessità della festa e dello stare assieme – seppur per pochi attimi – in quella gimcana tragica di obblighi e restrizioni che ha segnato la nostra vita civile e sociale durante la pandemia.

Perché il calcio, oltre a muscoli e corsa, è libertà, emozione, rito, sogno. Spettacolo, certo, ma identitario. Ha scritto, in una delle sue belle odi – “Squadra paesana” – dedicate al gioco del pallone, il poeta Umberto Saba: «Le angosce che /imbiancano i capelli all’improvviso / sono da voi così lontane! La gloria /vi dà un sorriso / fugace: il meglio onde disponga. Abbracci /corrono tra di voi, gesti giulivi. Giovani siete, per la madre vivi / vi porta il vento a sua difesa. V’ama / anche per questo il poeta, dagli altri / diversamente – ugualmente commosso».