La Settimana Politica

Non voto, dunque sono: astensione e identità

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di Silvio Magnozzi

Il centrodestra ha stravinto le elezioni regionali del 2023 in Lombardia e nel Lazio e prima ancora di queste, nel 2022, aveva stravinto in Italia le elezioni politiche nazionali. Punto. Il centrosinistra ha perso nettamente sia le politiche nel 2022 sia le ultime regionali. Punto e virgola. Quante alle altre opposizioni arrancano, e qui la finiamo coi punti e le virgole e andiamo a capo.

Visti questi tre fatti appena elencati, onde evitare che il dibattito italiano finisca ancora una volta in un avanspettacolo da talk, è necessario evidenziare due realtà. La prima, la ripetiamo, che il centrodestra ha stravinto. La seconda, che l’astensionismo in Italia ha raggiunto livelli altissimi. Mettere queste due realtà in connessione, come han provato a fare alcuni giornali o esponenti politici delle opposizioni al governo Meloni sarebbe un errore politico grave, prima ancora che ridicolo. Per il semplice fatto che l’astensionismo non può diventare l’alibi all’ennesima sconfitta del centrosinistra e neppure un tranquillante per le opposizioni, con cui rendere meno clamorosa la vittoria del centrodestra nelle urne. Perché in politica sono un paio le cose imperdonabili ai fini del consenso: appunto il ridicolo e, poi, le scuse all’insegna del “però” eccetera, eccetera.

Cercare dei condizionali ad una sconfitta, magari per circondarsi di attenuanti, non fa bene a chi lo fa. Nella crisi di identità del centrosinistra italiano – in corso ormai da anni, a cominciare dal principale partito di riferimento di quell’area, il Pd – è il momento di prendere atto del calo dei consensi e di ripartire, senza alibi. Detto della vittoria del centrodestra e della sconfitta degli altri resta adesso da affrontare il capitolo che riguarda l’astensionismo.

È vero, quando in una moderna democrazia come quella italiana vanno a votare più o meno 4 elettori su 10, il problema è assai grave e riguarda la salute della democrazia stessa. Del resto è ormai da parecchio tempo che l’astensione dal voto, nelle democrazie occidentali europee, è uno dei sintomi più evidenti della loro crisi. Nelle elezioni politiche del 2022 l’Italia registrò il record di non votanti e non se la passa certo meglio la vicina Francia. Si tratta di due nazioni che ben indicano il declino tra (e ne) gli elettori della fiducia nella democrazia.

Sia in Italia sia in Francia infatti, in passato, la partecipazione al voto è stata assai più ampia e spesso animata dalle speranze – recandosi alle urne per votare – di poter cambiare qualcosa nella propria esistenza e finanche nelle sorti del proprio Paese. Nel XXI secolo, purtroppo, questa speranza nel mondo occidentale si è andata affievolendo e di parecchio, generando quello che può essere definito un duplice paradosso pratico ma pure di sistema. Primo aspetto di questa duplicità: sempre meno elettrici ed elettori decidono realmente chi governerà il loro Paese e di fatto si tratta alla fine sì d’una maggioranza, che però rimane minoranza rispetto ai numeri reali data l’alta astensione. Secondo: l’identità politica pare oggi prender forma, per chi si astiene, nella negazione: non voto, dunque sono. Prendere atto di questa crisi delle democrazie è perciò urgente, senza che l’astensione dilagante diventi un modo per depotenziare chi le elezioni le vince. Perché è sbagliato e farlo non farebbe che aggravare ulteriormente la crisi della democrazia.