La Settimana Politica

Pnrr: la Corte dei Conti al Governo: pesante divario tra spesa attesa e sostenuta

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All’euforia post vittoria delle regionali in Abruzzo non sembrano sfuggire alcune dichiarazioni di esponenti della maggioranza di governo relative allo stato di attuazione del Pnrr. Il capogruppo di FdI alla Camera Tommaso Foti, ad esempio, ha detto questa mattina che:

«Un altro segnale positivo sul Pnrr è arrivato dalla Corte dei Conti, che evidenzia un sostanziale raggiungimento degli obiettivi procedurali, con lo stato di attuazione degli interventi Pnrr e Pnc esaminati nel 2023»

Foti poi ha proseguito:

«L’organismo di controllo amministrativo, infatti, ha evidenziato l’importanza delle modifiche apportate dal Governo sulla struttura iniziale del Pnrr (ufficializzate dalla Commissione Ue a dicembre 2023), allo scopo di superare le difficoltà legate alla realizzazione di alcune delle riforme o investimenti nella loro configurazione originaria»  

Tutto vero. Ma la nota della Corte dei Conti ha detto anche molto altro, a cominciare dal fatto che la magistratura contabile ha rilevato uno scostamento «tra spesa attesa e spesa sostenuta che, seppur attenuatosi, è destinato a determinare uno slittamento di quella effettiva negli ultimi anni di adozione del Piano». L’analisi condotta nel 2023 dalla Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato della Corte dei Conti sottolinea anche una criticità rispetto alle comunità locali:

«L’importante percorso di monitoraggio sull’attuazione del Pnrr avviato dall’esecutivo a gennaio 2023 si incentra su una significativa ricerca di semplificazione dei procedimenti orientata anche a garantire la maggior coerenza possibile agli interventi di coesione territoriale che coinvolgono, in particolare, le comunità minori, caratterizzate da una maggiore fragilità amministrativa e organizzativa… Ed è proprio la capacità amministrativa a evidenziarsi come elemento critico del Piano e della sua esecuzione, nell’ottica ulteriore di preservare la qualità degli interventi»

Insomma, il rapporto della Corte su 50 investimenti, una riforma del Pnrr e sei iniziative del Piano Nazionale complementare, ribadisce in realtà che il Piano non è poi messo così bene come appare: in relazione ai progetti esaminati, il costo complessivo di quelli ammessi al finanziamento è stato di 34,3 miliardi, pari al 78,2% dei fondi previsti, mentre i pagamenti si sono fermati a 1,8 miliardi, il 14% degli impegni assunti fissati in 13,5 miliardi.

Il tasso di progressione della spesa per la durata dell’intero Piano, al 31 dicembre 2023, si assesta al 74,57% mentre la spesa ancora da sostenere per gli interventi esaminati si concentra nella missione 2 – Digitalizzazione, Innovazione, Competitività, Cultura e Turismo, che vale circa 14,1 miliardi di euro.

Il rapporto conferma di fatto quanto già detto dallo stesso esecutivo nel corso della quarta relazione al Parlamento sull’attuazione del Recovery. In quell’occasione, arrivata con un ritardo di due mesi all’esame della cabina di regia con i ministri competenti e i rappresentanti degli enti locali, il Governo è stato costretto ad ammettere che al 31 dicembre 2023 dei quasi 102 miliardi ricevuti da Bruxelles ne erano stati spesi meno della metà: 45,6 miliardi. Non solo: nel corso dell’anno solare 2023, il primo trascorso pienamente sotto la guida della maggioranza di centrodestra a trazione meloniana, i miliardi spesi sono stati “appena” 21,1, meno che nell’intero biennio 2021-22 (la spesa superò allora i 24 miliardi di euro) e, cosa più significativa, poco più della metà di quanto previsto dalla Nadef 2022.

La premier Giorgia Meloni, nella premessa di quella relazione approvata lo scorso 22 febbraio, ammetteva la necessità di «un’accelerazione decisiva per l’incremento della spesa delle risorse stanziate e per la rapida implementazione delle nuove misure inserite nel Piano». Dopo aver chiesto ufficialmente alla Commissione il pagamento della quinta rata da 10,6 miliardi per i 52 obiettivi, nel 2024 l’Italia dovrà misurarsi con il raggiungimento dei 39 obiettivi e traguardi associati alla sesta rata da 9,6 miliardi di euro, e dei 74 obiettivi e traguardi connessi alla settima rata da 19,6 miliardi.

Meloni, al netto della terza e quarta rata ottenute dopo le trattative con la Commissione europea e il via libera alle modifiche italiane del Piano, sa perfettamente quale sia il rischio: non vincere la scommessa di portare il Paese fuori dalle secche della crescita residuale e mettere al sicuro la sostenibilità del nostro debito pubblico. Così, mentre il ministro con delega al Pnrr Raffaele Fitto puntava il dito sulle amministrazioni locali annunciando azioni per costringere i comuni ad aggiornare tempestivamente le informazioni obbligatorie rilevanti per il raggiungimento degli obiettivi (scatenando le ire del sindaco di Bari e presidente Anci Antonio Decaro: «Buona parte della spesa è merito dei Comuni che hanno fatto 230mila gare sui 35 miliardi assegnati”», tuonava allora) oggi la Corte dei Conti annota come

«Lo iato fra adempimenti procedurali e spesa effettiva resta ancora molto significativo e ciò non può non destare attenzione, anche se si voglia considerare il Piano come un programma “per obiettivi” e non un Piano “di spesa”, approccio che non appare del tutto corretto»

Come detto, anche su uno dei pilastri del Piano, la coesione territoriale, la magistratura contabile solleva perplessità: «È stato possibile rilevare come continuino a sussistere divari fra i territori a livello di macroaree e divari fra le regioni del Mezzogiorno dove, nonostante la quota del 40% sembri assicurata, le singole regioni continuano a marciare a velocità diverse. La quantità di passaggi burocratici a cui è necessario adempiere e la complessità della documentazione da fornire fa sì che gli enti locali meno efficienti siano scoraggiati anche solo dal presentare le domande. Tale elemento è confermato da un’ultima analisi dell’Ufficio Parlamentare di bilancio del dicembre 2023, secondo la quale il comparto comunale risulta tra quelli con la maggior percentuale di avvio dei progetti (101mila sono i soggetti attuatori), ma integra anche uno di quelli che presenta le maggiori fragilità. Il risultato è che rischiano di essere esclusi dai fondi proprio quei territori che ne avrebbero più bisogno», è l’avvertimento conclusivo.

La relazione sottolinea così l’importanza delle modifiche chieste dal Governo e approvate dalla Commissione Ue, modifiche comprendenti il capitolo dedicato a REPowerEU e che stabiliscono l’ammontare del piano a 194,4 miliardi di euro (122,6 miliardi di euro in prestiti e 71,8 miliardi di euro in sovvenzioni), con 66 riforme, sette in più rispetto al piano originario, e 150 investimenti (stralciati quelli “irrealizzabili” e privilegiati, quelli relativi ad energia e transizione green e digitale).

La rimodulazione temporale per la Corte dei Conti potrà però «determinare ulteriori criticità attraverso l’esaurimento dei margini per ulteriori rinvii o la riduzione del potenziale stimolo all’attività produttiva, concentrando la realizzazione degli interventi su un periodo più limitato, così come potrebbe alimentare strozzature nell’offerta, sia con riferimento alle competenze necessarie per gestire e avviare le opere, sia per lo spiazzamento di altri investimenti». Infine, “la magistratura contabile si riserva la valutazione” sul recente decreto Pnrr che rivede disponibilità e coperture finanziarie dei progetti in essere.