La Settimana Politica

Premierato: il Governo trova la quadra sul meccanismo anti-ribaltone

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Il “visto si stampi” al ddl premierato arriva dal Presidente del Consiglio con una telefonata al ministro per le Riforme Elisabetta Casellati nella tarda mattinata di lunedì. Dal Giappone, dove è in visita istituzionale per il passaggio di consegne del prossimo G7, la premier ha blindato la modifica costituzionale ripetendo uno dei suoi slogan prediletti: «Basta con gli inciuci e i governi di palazzo». Poi ha passato la palla agli italiani lasciando intendere di volersi preparare a un referendum.

Nel dettaglio, il nuovo articolo 4 della norma contenuta nel ddl discusso a Palazzo Madama e su cui la maggioranza ha trovato alla fine la quadra (per questo i 4 emendamenti sono stati presentati direttamente dall’esecutivo e non dai capigruppo del centrodestra: «Così si rafforza il senso dell’intesa raggiunta», ha detto Alfredo Balboni, relatore FdI del provvedimento e Presidente della Commissione Affari costituzionali del Senato, dopo il via libera di Matteo Salvini e Antonio Tajani) prevede quindi che se il premier viene sfiduciato «mediante mozione motivata, il presidente della Repubblica scioglie le Camere». Inoltre, se si dimette volontariamente e «previa informativa parlamentare» (un’altra novità del testo) il Presidente del Consiglio «può proporre, entro sette giorni, lo scioglimento delle Camere al Presidente della Repubblica, che lo dispone»ı. Qualora non venisse esercitata la facoltà di proporre lo scioglimento delle Camere e «nei casi di morte, impedimento permanente, decadenza», il Capo dello Stato potrà incaricare «per una sola volta nel corso della legislatura» il premier dimissionario o «un altro parlamentare eletto in collegamento con il presidente del Consiglio». Nella precedente versione il premier eletto poteva chiedere di tornare alle urne in caso di «mozione motivata» di sfiducia di una delle Camere, ma non se mancava la fiducia richiesta su un provvedimento.

«Non mi stupisce che chi ha privilegiato i governi scelti nel palazzo oggi sia contrario», ha chiosato Giorgia Meloni da Tokyo, alludendo ai circa duemila emendamenti depositati dalle opposizioni (817 dal Pd, 1014 da Alleanza Verdi-Sinistra e 12 dai Cinque stelle. I renziani di Italia Viva condividono nel complesso la riforma ma hanno comunque chiesto 16 correzioni). Al netto di quelle soppressive utili come sempre solo a fare scena, le proposte dem si sono ispirate al sistema tedesco sebbene ridotte alla fiducia al solo premier da una sola Assemblea, al potere di chiedere la revoca dei ministri e alla sfiducia costruttiva. Stanti così le cose sembra però inevitabile che il referendum finisca per ridursi ad un ennesimo scontro tra tifosi della democrazia plebiscitaria e supporter dello status quo.

Il relatore Balboni ha voluto sottolineare come la vera novità sia «che il pallino con questa riformulazione resta sempre in mano al premier eletto. Ci sono due procedure diverse. In caso di sfiducia motivata si va diritti allo scioglimento delle Camere e alle elezioni. Chiaramente, il premier può sempre bloccare dimettendosi un minuto prima. Invece, in caso ci sia il cosiddetto incidente di percorso, per esempio il governo pone la fiducia e va sotto per mille motivi, si tratta di capire se il motivo è che è venuto meno il rapporto di fiducia tra premier e Parlamento, e allora si segue una strada, se invece è appunto un incidente di percorso se ne sceglie un’altra».

Molti individuano proprio in questa norma la criticità più pesante del provvedimento: gli emendamenti, infatti, non affrontano il caso più frequente, ovvero quello in cui il premier pone la fiducia su un provvedimento e non la ottiene. Finora, per prassi, in questo caso le dimissioni non sono un atto volontario ma dovuto; non essendoci però la norma, la scelta sul da farsi (elezioni, incarico ad un altro premier, reincarico a quello sfiduciato) è tutta nelle mani del Presidente della Repubblica oppure il presidente del Consiglio decaduto può dire la sua? Giorgia Meloni non ha dubbi: «Con la nuova riformulazione la norma è chiara, e ribadisce un fatto semplice, se passerà la riforma, sono gli italiani che devono scegliere da chi farsi governare».

L’ex presidente del Senato Marcello Pera, ora in FdI, non è d’accordo: «Un governo battuto sulla fiducia a una legge di bilancio o sulla guerra deve obbligatoriamente dimettersi. Ci sarà ancora da lavorare sul testo».

Dello stesso avviso sia Peppino Calderoli (esperto di riforme del centrodestra) sia il Pd: «La Lega ha ottenuto il diritto all’imboscata». Il capogruppo democratico in Commissione Affari costituzionali Andrea Giorgis ha chiesto alla maggioranza di ritirare l’elezione diretta e «aprire un confronto vero».