La Settimana Politica

«Venti miliardi in tre anni»: il piano del governo per le privatizzazioni

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Dopo i fuorionda di “Striscia” che hanno sancito la fine ufficiale della relazione col giornalista di Rete4 Andrea Giambruno, la premier Giorgia Meloni lunedì pomeriggio ha nuovamente varcato i cancelli di uno studio Mediaset (quello al Palatino) per registrare un’intervista trasmessa in prima serata nella trasmissione Quarta Colonna, intervista che, come accaduto per la conferenza stampa di fine anno, prima di Natale Meloni aveva dovuto rinviare causa influenza.

Numerosi i temi economici affrontati dal Presidente del Consiglio, a cominciare da quelli, caldissimi, relativi alle privatizzazioni:

Nel documento di bilancio prevediamo 20 miliardi in tre anni – ha detto anticipando la possibile strategia di dismissioni – un lavoro di serietà che si può fare come lo immagino io

Ovvero, cedere alcune quote delle società pubbliche senza compromettere il controllo da parte dello Stato e vendere invece ai privati alcune quote di minoranza delle aziende interamente di proprietà pubblica. Uno dei dossier in discussione è quello, ad esempio, che riguarda le Ferrovie:

Lo Stato mantiene sempre il controllo quando il controllo è fondamentale. Per me privatizzazione non è regali miliardari fatti a un imprenditore fortunato e amico. Significa che lo Stato può indietreggiare dove la sua presenza non è necessaria, mentre lo Stato deve avanzare quando è necessaria.

Nel caso di Ferrovie il percorso è sicuramente complesso: ammesso e non concesso che l’iter cominciasse già in queste settimane, difficilmente se ne vedrebbero i risultati prima del 2026 (oltretutto, l’attuale management decade a primavera e dunque bisognerebbe comunque aspettare il rinnovo dei vertici per affidare il mandato). Rimane peraltro il nodo di cosa privatizzare e cosa no: un conto è mettere sul mercato quote di Trenitalia (operatore che gestisce l’alta velocità), altro – come sembra suggerire il piano del governo – è cedere quote della capogruppo FS, che con l’assorbimento di Anas è diventato un gigantesco gestore di rete sia ferroviaria sia stradale e pone dunque il problema di quanto valutare l’asset complessivo.

Meno critico l’iter per la privatizzazione di una parte delle già quotate Poste Italiane ed Eni, da cui l’esecutivo si attende di realizzare circa 4-5 miliardi anche se oggi bisogna considerare l’andamento a Piazza Affari delle due partecipate, non proprio ai massimi (circa 10 euro le azioni di Poste, 15 quelle di Eni, tornate a livelli pre-pandemia).

Per motivi diversi, inoltre, non tutte le società pubbliche sono papabili per l’ulteriore cessione di quote a privati; tra queste, figurano sicuramente Enel, Enav e Leonardo, quest’ultima operando nel settore strategico della difesa difficilmente potrebbe veder scendere la partecipazione statale al di sotto del 30%. Stessa motivazione che vale per le altre società che non fanno capo al Mef ma a CdP Reti: Snam e Terna, infrastrutture strategiche per l’Italia di cui il governo non cederà altre quote.

Infine, la premier Meloni è tornata sul tema del Superbonus:

La più grande truffa della storia ai danni dello Stato italiano… Il Superbonus partiva da un principio che è condivisibile, il problema è come è stato fatto… I miliardi di euro di truffa che stanno venendo fuori sono qualcosa che non si è mai visto. La misura costa a ciascun italiano, neonati compresi e chi non ha una casa, duemila euro a testa…  Il 50% di queste risorse è andata alla fetta più ricca della popolazione: gente che non aveva casa ha pagato la seconda casa del miliardario

Poi ha concluso:

Quest’anno ho fatto una manovra di 30 miliardi, partivo da 20 da pagare sul superbonus e 13 sul debito: il superbonus s’è mangiato una finanziaria e così sarà nei prossimi anni

In queste ultime ore Giorgia Meloni deve fare i conti anche con la doccia gelata arrivata da Bruxelles e che riguarda un altro degli (ex) gioielli di famiglia: ITA, ovvero la compagnia di bandiera nata dalle ceneri di Alitalia. La Commissione UE sulla concorrenza guidata da Margrethe Vestager ha congelato il matrimonio con Lufthansa per almeno altri tre mesi o, nella peggiore delle ipotesi, addirittura fino a giugno 2024: “Vogliamo valutare più nel dettaglio l’operazione – ha spiegato Vestager – e garantire che l’acquisizione di Ita non riduca la concorrenza nel settore del traffico a corto e a lungo raggio e non provochi un rialzo dei prezzi”. La Commissione vuole anche capire se l’accordo tra Ita e la compagnia tedesca possa comportare “una minore disponibilità o una qualità inferiore dei servizi di trasporto aereo di passeggeri da e verso l’Italia”. Una tegola sul percorso della vendita di asset pubblici nei progetti di Palazzo Chigi, che sperava in un via libera della Commissione alle nozze tra i due vettori già in questo mese.