La Settimana Politica

Vizi e virtù di un leader fuori dagli schemi

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Ore 9.30 del 12 giugno 2023. È l’ora che segna la fine di un lungo pezzo di storia della Repubblica italiana. Nelle stanze a lui riservate dell’ospedale San Raffaele di Milano dove era nuovamente ricoverato da venerdì scorso per la leucemia mielomonocitica cronica di cui soffriva da tempo, muore Silvio Berlusconi, 86 anni, fondatore del colosso televisivo Mediaset e di Forza Italia, quattro volte presidente del consiglio, a lungo proprietario del Milan più vincente della storia del calcio.

L’improvviso arrivo al capezzale dei figli Marina e Piersilvio nelle prime ore del mattino aveva messo in allarme il mondo politico e della comunicazione, mondi che il Cavaliere ha contribuito a riplasmare in maniera irreversibile nel corso di un ventennio, a partire dalla celebre “discesa in campo” del 1994 con cui l’imprenditore milanese – fino a quel momento conosciuto per le tv private che forgiavano un inedito modello di riferimento culturale popolare nel Paese e per i trionfi rossoneri sui campi di mezzo mondo – diede il via a un’autentica rivoluzione, come in un gioco di specchi piena di molte luci e altrettante ombre.

La salma è stata traslata ad Arcore e non ci sarà alcuna camera ardente per motivi di ordine pubblico. Proclamato il lutto nazionale per la giornata di mercoledì, quando si terranno i funerali di Stato in piazza Duomo a Milano, quella stessa piazza in cui Berlusconi fu protagonista di due momenti ad alto gradiente simbolico della sua carriera di “unto del Signore”: il 18 novembre 2007, in mezzo a una folla da stadio, il celebre discorso “del predellino” che sancì la nascita del Popolo delle Libertà (a insaputa degli alleati, Gianfranco Fini in testa), e due anni dopo, il 13 dicembre 2009, la statuetta lanciatagli in volto da Massimo Tartaglia, un contestatore con qualche lieve disagio psichico. Allora Berlusconi era premier, e per la prima volta dai tempi di Togliatti commentatori e notisti politici rispolverarono il concetto del “corpo fisico” del leader che si era ormai fatto in tutto e per tutto anche “corpo politico”.

Nulla nella vita privata e pubblica di Berlusconi è stato all’insegna della normalità. Dalle foto in bianco e nero che lo ritraggono cantante sulle navi di crociera nelle improbabili vesti di crooner di provincia, alla storica intervista del 1977 su L’Espresso con la pistola bene in vista sulla scrivania, fino agli elicotteri atterrati a San Siro per la presentazione del Milan delle meraviglie di Arrigo Sacchi (correva l’anno 1986 e l’allora portiere della Juventus Stefano Tacconi ironizzava: “Fanno le prove per quando dovranno scappare”), per arrivare all’iconografia – non sempre benevola – che lo consegna alla storia politica a cavallo tra il secolo breve e quello attuale. Ci sono le corna esibite al ritratto ufficiale del vertice spagnolo dei Ministri degli Esteri Ue, lo sguardo stizzito della cancelliera Angela Merkel in attesa che il premier italiano finisca una telefonata durante il vertice Nato del 2009 a Baden Baden, soltanto l’anno prima c’era stato il “cucù” fatto alla stessa Merkel nel corso di un bilaterale italo-tedesco a Trieste: segni inequivocabili (proprio dal punto di vista semiotico) dello sconvolgimento protocollare che Berlusconi ha impresso nella forma e nella sostanza politica di questi ultimi anni, testimoniati anche dalla bandana estiva indossata in Sardegna con l’allora primo ministro britannico Blair e l’amicizia personale con Vladimir Putin (che in questi mesi di guerra è stata spesso usata come strumento di lotta politica tutta italiana).

Come controcanto, oggi molti ricordano il discorso davanti al congresso americano a Washington nel 2006, acclamato con tre standing ovation, e quello di Onna (AQ) nel 2009 immediatamente a ridosso del sisma devastante che colpì l’Abruzzo, incentrato sui valori della Resistenza e del 25 Aprile. Discorso espressamente richiamato dal vecchio leader in una delle ultime apparizioni in video dal San Raffaele in occasione della scorsa Festa della Liberazione.

La parabola politica berlusconiana, che ha alternato incredibili gaffe a momenti da autentico statista, ha conservato come sottofondo costante un difficile rapporto con la giustizia: ottobre 1994 è la ferita primigenia da cui inizieranno tutte le incomprensioni e gli scontri con il potere giudiziario del nostro ordinamento. L’avviso di garanzia in un’indagine per corruzione recapitato al G7 di Napoli, presieduto da fresco presidente del Consiglio, è l’accadimento che Berlusconi considererà per sempre l’affronto più grave al suo ruolo istituzionale. Poi le tante inchieste, per i filoni più disparati e con le accuse più scioccanti, finite quasi sempre con assoluzioni o prescrizioni e una sola condanna definitiva (per frode fiscale nel processo Mediaset), scontata con un anno di affidamento ai servizi sociali alla “Fondazione Sacra Famiglia”, ricovero per anziani di Cesano Boscone (MI). Politicamente, l’epilogo era già stato scritto tre anni prima, a novembre 2011, con l’Italia in piena tempesta economica, i sorrisetti sarcastici in conferenza stampa a Bruxelles tra il presidente francese Sarkozy e la cancelliera Merkel alla domanda se fossero stati rassicurati dal premier italiano sulla crisi, cui seguirono dopo poche settimane le dimissioni con conseguente caduta dell’esecutivo e l’inizio dei cosiddetti governi tecnici.

Nei mesi, e anni, successivi, un incredibile “cupio dissolvi” iniziato con le fotografie assieme alla diciottenne napoletana Noemi Letizia, occasione che la moglie Veronica Lario colse per scrivere una lettera aperta pubblicata da La Repubblica in cui, prendendo le distanze dalle “vergini sacrificate al drago”, chiese il divorzio. Poi venne lo scandalo della minorenne marocchina Ruby Rubacuori, frettolosamente indicata come nipote del leader egiziano Hosni Mubarak, e le “cene eleganti” ad Arcore che diedero origine a ben tre processi e a una nuova categoria aristotelica, quella delle Olgettine.

Adesso si apriranno scenari inediti su molti fronti, da quello politico relativo al futuro di Forza Italia e alla sua stessa esistenza (e alle fibrillazioni che già agitano la maggioranza di governo), a quello dell’eredità industriale del gruppo televisivo e le relative quote destinate ai cinque figli, per tacere dell’immenso patrimonio personale e immobiliare.

Comunque si voglia giudicare la figura di Silvio Berlusconi, i quesiti e i dubbi che la sua morte lascia dietro di sé sono appannaggio unicamente delle personalità fuori dall’ordinario.