Le opinioni

Robot economy e ChatGPT: è tutto scritto

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di Antonio Dini –  Giornalista e scrittore

Dallo scorso novembre l’intelligenza artificiale è diventata un termine di uso corrente, soprattutto nell’accezione “ChatGPT”, il loquace pappagallo statistico che tutti possono interpellare in rete. Questo ha provocato grande agitazione e domande pressanti. Siamo davanti a una fase nuova e inedita, a ragione della quale non vale più niente di quel che abbiamo visto e imparato finora? Cosa sta per succedere all’economia, al mondo del lavoro, alla scuola e alle prospettive dei nostri figli? Per tacer delle pensioni, che molti di noi ancora aspirano a raggiungere, un giorno apparentemente sempre più lontano?

Non ho le risposte, però ho qualche capello bianco e uno scaffale di libri, oggetti forse non più di moda ma a mio avviso sempre utili. Perché se non altro possono offrire un certo conforto. Diciamoci la verità: di ricette ne sono circolate tante. Possiamo anche fare a meno di farci prendere dal panico e pensare a un po’ di idee su quale sarà la “nuova realtà” di cui si parla ormai da vent’anni. La tecnologia potrebbe, infatti, portare anche dei benefici anziché solo traumi sociali ed economici insostenibili.

Per quanto riguarda il mondo del lavoro, l’idea che il computer ci renderà tutti disoccupati l’aveva già toccata prima di molti altri Jeremy Rifkin, oggi non più tanto di moda. Eppure, con il suo La fine del lavoro del 1995 (quasi trent’anni fa!) suggeriva una riduzione generalizzata degli orari per dare un po’ più di spazio a tutti. Non era neanche la posizione più radicale: Serge Latouche è passato alla storia grazie alla sua teoria, malamente tradotta in italiano, della “decrescita economica”, che disegna un futuro sostenibile ancora più radicale dell’economia circolare. Concetto quest’ultimo, peraltro, già in circolazione dal 1966 – nientemeno – grazie all’economista Kenneth E. Boulding.

Se in una società che si alimenta con la crescita l’idea stessa della “decrescita” è impraticabile, forse si possono trovare altri sistemi: i micropagamenti automatici ai cittadini (una sorta di restituzione di parte della monetizzazione della loro privacy) alle forme di reddito per tutti o addirittura società in cui non servono più i soldi perché tutto il lavoro lo fanno le macchine. Cosa fanno le persone, allora? Si annoiano, studiano, esplorano il cosmo. Sembra fantascienza? È l’economia di Star Trek, la serie tv dei primi anni Sessanta creata da Gene Roddenberry e adorata dai figli dei fiori di Berkeley.

Sul mio scaffale ci sono anche altri libri che propongono soluzioni per superare prima la «robot economy», poi l’età del software e oggi l’era dell’intelligenza artificiale. E ci sono anche i libri degli anni Ottanta sul metaverso, idea balzana ripresa malamente da Mark Zuckerberg poco tempo fa e adesso recuperata forse con più fortuna dal visore di Apple.

Sullo scaffale ci sono anche i vecchi libri di bravissimi pessimisti, come Jaron Lanier. O quelli dei due professori del MIT di Boston, Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee, che una quindicina di anni fa scrissero che le rivoluzioni tecnologiche alle volte distruggono più posti di lavoro di quanti non ne creino, generando paura e sconcerto.

Il punto è che oggi l’intelligenza artificiale è diventata un’arma politica, spauracchio da agitare sui media, nei mercati e davanti ai consigli di amministrazione. C’è chi garantisce che potrebbe distruggere il mondo (ma nessuno scienziato ancora ci ha spiegato nei dettagli il come) e chi invece che lo potrebbe trasformare in un paese del bengodi. Nel mezzo ci siamo noi, i comuni mortali che cercano di arrivare a fine mese. La risposta? Quella probabilmente è stata già scritta in qualche vecchio libro che oggi non va più di moda.