Le opinioni

Sbagliata l’idea dei giovani sul lavoro: non deve divertire

Scritto il

di Antonio Dini (Giornalista e scrittore)

Per quale motivo scegliamo il lavoro che scegliamo? Senso del dovere, bisogno economico, conseguenze delle scelte scolastiche? Forse no. E non è detto che sia un bene.

Oggi c’è una generazione che non solo ha cambiato il modo con il quale viene scelto il lavoro, ma sta anche influenzando le generazioni precedenti, gli “anziani”. È la generazione Z, i ragazzi e le ragazze che al massimo hanno ventisei anni. Sono appena sbarcati nel mondo del lavoro ma già stanno dettando alcune delle nuove regole. La prima delle quali è virale: il lavoro deve essere divertente.

La domanda è: lavoro e divertimento possono coesistere? Divertirsi lavorando fa bene? Secondo la generazione Z, sì. Attenzione, non nel senso di farsi delle grasse risate in ufficio. Quella casomai era prerogativa di chi ha vissuto il boom economico del dopoguerra e sapeva sdrammatizzare e anche staccare, quando usciva dall’ufficio. No, la generazione Z invece ritiene che, come i genietti del computer della Silicon Valley che lavorano in un ambiente protetto, superpagato e simile a un Luna Park (almeno, fino a quando non li licenziano in massa), anche loro hanno diritto a trovare stimolante, divertente e quantomeno sempre interessante il loro lavoro.

Questa idea è diventata virale ed è alla base di un cambiamento profondo in corso nella nostra società. Chiamatela “Great resignation” o YOLO (You Only Live Once), il carpe diem dei nostri tempi. Ne parlano i giovanissimi ma anche i film e le canzoni che stanno di nuovo raccontando che bisogna cambiare vita, mollare tutto quel che non ci piace, perché del domani non v’è certezza: potremmo dover combattere contro i funghi-zombi dopo che la nostra civiltà sarà stata distrutta, chissà.

Allora diventa abbastanza logico pensare che, se il lavoro non mi diverte, non è colpa mia, ma è colpa sua. E quindi se ho il coraggio di mollarlo per fare altro, divento una persona migliore. Vaglielo a spiegare, però, che spesso non è il lavoro che non è divertente ma la nostra vita che ha dei problemi: lutti, separazioni, delusioni, tradimenti, il semplice scorrere del tempo. Invece, sentire qualcuno che ci dice che non è colpa nostra, che non è nostra responsabilità, fa sempre piacere.

Questo desiderio di evasione c’è sempre stato, sia chiaro, ma adesso si sono aggiunte alcune novità. La prima è che ci illudiamo di avere diritto alla felicità lavorativa. Un’illusione che, in quanto tale, rende le persone infelici perché è irraggiungibile. Ma l’illusione fa velo all’idea che il lavoro sia fatica, difficoltà. Colpa nostra, peraltro: si legge da tutte le parti che il lavoro è flessibile, fatto in team, smart, facile e facilitato. Quasi come se lavorare non fosse per definizione “duro”. Invece, lo sanno anche i bambini appena usciti dalla scuola materna e sbarcati alle elementari che è finito il tempo del gioco e bisogna fare “i lavoretti”, cioè studiare. Ma da adulti sembra che ce ne siamo dimenticati. Eppure, come la scuola non è solo la ricreazione, così il lavoro non dovrebbe essere solo la pausa caffè.

Un’altra cosa che poi non si può neanche dire pubblicamente è che detestiamo il nostro lavoro. Non si può dire, ma è vero. In realtà è anche qualcosa di più che ragionevole: è sano detestarlo. Il lavoro è sempre faticoso e odiarlo un pochino va bene. Non va bene invece quando vuol dire che detestiamo il capo e i colleghi. Significa che abbiamo un problema: non riusciamo a trovare un equilibrio con gli altri, a diventare adulti e avere relazioni lavorative mature e non come a scuola, quando il mondo era diviso tra chi ci stava simpatico e chi antipatico.

Invece, l’idea di mollare tutto, soprattutto gli antipatici, ed essere felici facendo quel che ci piace veramente, che ancora non abbiamo capito cosa sia ma tanto lo continueremo a cercare, è solo un’illusione. Dalle responsabilità non si scappa, a meno di non avere un paracadute, cioè delle risorse economiche o familiari che lo consentono. Ma non tutti ce le hanno.

Ed ecco che l’idea apparentemente innocente della nuova generazione Z, che nel lavoro cerca il divertimento, pian piano si allarga come le onde e sposta anche noi. Facendoci pensare che siamo infelici perché non ci divertiamo; che il lavoro non ci soddisfa perché non siamo felici; che dalla vita ci meritano di più. E ci dimentichiamo per quale motivo abbiamo scelto il lavoro che abbiamo scelto: per guadagnare (faticosamente) i soldi che servono a vivere una vita serena a casa nostra, fuori dal lavoro, con gli amici, mica con i colleghi.