Nel Mondo delle Pmi

Aurora colora la riscossa della scrittura

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di Gabriele Politi

«Studi scientifici dimostrano che un messaggio di testo scritto sul telefonino con i pollici attiva tra le mille e le duemila sinapsi cerebrali, con la scrittura si usano quattro dei cinque sensi (vedi quello che scrivi, senti il suono del pennino sulla carta, odori l’inchiostro, tocchi la penna) e le sinapsi attivate sono almeno 15mila, così ci si ricorda molto meglio ciò che si è scritto. Con la scrittura si può tornare ad essere sé stessi». Gli occhi di Edolinda Di Fonzo, direttore creativo e commerciale di Aurora Penne, brillano nel raccontare i 104 anni di storia del più importante marchio tricolore di strumenti da scrittura analogica.
Questione di segni e di segno. I segni: nel 1919 Isaia Levi fonda a Torino la “Fabbrica italiana penne a serbatoio Aurora” incrociando il suo destino con quello di Cesare Verona Senior, esclusivista per l’Italia delle macchine da scrivere americane Remington. Cesare Sr. partecipa all’avventura di Aurora e suo nipote Franco viene assunto alla fine degli anni ’50 su indicazione del dirigente Olivetti Giovanni Enriques. Oggi il presidente e Ad dell’azienda è Cesare Verona, pronipote del co-fondatore e figlio di Franco; al suo fianco la moglie Edolinda, un passato nella moda e da 12 anni in azienda.

Il segno è quello indelebile che il marchio Aurora continua a lasciare, miracoloso anacronismo, in un’epoca iper-digitalizzata: «I giovani si stanno fermando, liberandosi di iPad e telefonino per riappropriarsi del piacere di scrivere – dice Di Fonzo –. La scrittura tornerà ad essere fondamentale perché le persone hanno bisogno di riconoscersi, e nella scrittura manuale ci si riconosce». Una riconoscibilità che è anche biglietto da visita e che, assieme al “saper fare antico” della tradizione artigiana che solo l’Italia può vantare, proietta Aurora nella contemporaneità e nei mercati stranieri: «Il 90% delle penne vendute all’estero sono stilografiche – conferma il direttore creativo –. Gli ultimi anni sono stati molto importanti grazie ai progetti speciali per le famiglie reali del Medio Oriente (Arabia Saudita, Giordania, Oman) per cui abbiamo disegnato, progettato e realizzato modelli unici e irripetibili, tempestati di diamanti, zaffiri, turchesi e altre pietre preziose». Di Fonzo è andata di persona a consegnarle e ricorda con orgoglio: «Molti atti diplomatici importanti sono stati firmati con penne Aurora».

Il modello di business è chiaro: diventare la nicchia di riferimento per il mercato delle penne di lusso. «Con la Cina che produce a venti centesimi/pezzo – dice – non avevamo scelta». Anche in Italia il riposizionamento è avvenuto nella fascia alta (con le nuove versioni della 88 e della Optima, prodotta ininterrottamente dal 1930) dopo il periodo ’60-’70 in cui Aurora ha democratizzato la scrittura con la Auretta, la “penna degli italiani”.

La fabbrica sforna fino a 60mila pezzi annui, il fatturato si aggira sui 10-15 milioni all’anno («abbiamo venduto anche una singola penna da 240mila euro»), il 78% realizzato in oltre 50 Paesi che apprezzano il vero Made in Italy. Un “fatto bene in Italia” che parla al femminile: l’80% del personale, 60 dipendenti in tutto, è donna, che con mani più piccole e una precisione tendenzialmente migliore di quella maschile hanno una sensibilità unica. In azienda ci sono dipendenti che lavorano da due o tre generazioni, un altro punto di forza di Aurora come la conoscenza della produzione, che gli inglesi chiamano “ownership of manufacturing”: «In Italia siamo i soli a governare tutti i processi realizzativi dal materiale alla penna finita, tanto che siamo l’unica azienda a costruire 21 pennini diversi adattabili all’inclinazione della mano del singolo cliente» prosegue Di Fonzo. Fino all’incredibile brevetto per il mercato asiatico, dove, con la scrittura ad ideogrammi, era necessario un pennino paragonabile ai pennelli tradizionali: Aurora ha creato tre pennini “a goccia” che a seconda della posizione della penna scrivono in quattro modi differenti. L’Asia è il mercato in cui l’azienda vuole radicarsi ed espandersi ulteriormente (il primo negozio monomarca aperto nel mondo è stato in Turchia; poi quelli in Messico e Medio Oriente, ora i due italiani a Roma e Milano).

Colore e materiali sono gli elementi su cui Edolinda Di Fonzo ha impresso la propria personalità creativa: «Il nostro materiale si chiama Auroloide screziato, una specie di PMMA. (polimetilmetacrilato, un polimero termoplastico trasparente, il comune plexiglas, ndr). Sono io a decidere il colore, facendo fino a 8-9 prove ogni volta e facendo disperare i miei collaboratori! Nei decenni passati le penne erano solo nere, blu o al massimo bordeaux, adesso il colore definisce il nostro prodotto». Sono nate da questo approccio le più recenti Edizioni Limitate all’insegna della sinestesia: “Ambienti” (5 esemplari legati all’olfatto) e “Viaggio segreto In Italia” (legata all’udito, con 8 versioni della mitica Aurora 88 realizzate in 888 pezzi). «Sto studiando da un anno la collezione successiva dedicata al tatto – anticipa Di Fonzo – poi toccherà alla vista». Un altro bestseller reinterpretato è la 88 “Black Mamba”, in cui la lavorazione che richiama la pelle del serpente rende aggressiva l’iconica stilo in oro e resina nera guillochata.

«Verità e innovazione – conclude – sono i valori che ci ispirano: raccontiamo sul serio un’eccellenza Made in Italy. Le nostre penne non sono solo penne, sono un’esperienza scrittoria che necessita di tempo per essere realizzata e poi assaporata». Come una bella lettera scritta a mano

A Torino un museo racconta l’evoluzione di tecnologia e stile

Inaugurata nel 2016, l’Officina della Scrittura occupa 3.500 mq dei 10mila dello stabilimento torinese dietro l’Abbadia di Stura (nella foto) ed è un vero e proprio museo. «Non è il museo di Aurora ma è il museo della Scrittura, forse il più grande in Europa – lo descrive Linda Di Fonzo –. Sono esposte inoltre le 13 “regine”, le penne che hanno cambiato il ruolo della scrittura per le innovazioni o per lo stile (ad esempio la Parker Duofold, la prima penna stilo colorata – gialla – della storia)».
Pensato anche come laboratorio didattico per la calligrafia e la grafologia, il percorso all’interno vuol far capire alle nuove generazioni cosa sia il SEGNO, a partire dalla firma che rappresenta la nostra identità più profonda. Le sezioni spaziano dalle macchine da scrivere Remington del bisnonno Verona a quelle dedicate all’evoluzione della scrittura per arrivare alla storia d’Italia e di Aurora.
Una sala riproduce gli ambienti delle origini con arredi autentici per svelare ai ragazzi le condizioni di lavoro nella seconda metà del XX secolo: «C’è perfino una bicicletta ritrovata da Cesare Verona appartenuta a un artigiano riparatore di stilografiche, autentico banco di lavoro mobile d’epoca» conclude. Una sala conferenze e uno spazio d’Arte contemporanea con opere di artisti che lavorano con la scrittura completano il museo