Nel Mondo delle Pmi

Biotecnologie contro il cambiamento climatico

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di Roberta Favrin

Dal Glera al Nebbiolo e dal Veneto al Piemonte si intensificano le ricerche, in laboratorio e in vigneto, per trovare pratiche colturali e cloni adatti a superare i cambiamenti climatici in atto.

Il progetto Biotech

Il Crea – Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (ente di ricerca vigilato dal ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste), con il progetto Biotech è riuscito a ottenere cloni di Chardonnay potenzialmente resistenti a malattie, quali peronospora e oidio, e resilienti allo stress idrico. Merito di tecniche biotecnologiche di miglioramento genetico (in Italia note anche come Tecniche di evoluzione assistita-Tea) che ora si stanno sperimentando anche sul Glera, cultivar da cui nel solo 2022 si sono ricavate 660 milioni di bottiglie di Prosecco Doc.

L’Istituto per la Protezione Sostenibile delle Piante, che fa parte del Cnr e ha sede a Torino, sta lavorando sul Nebbiolo, vitigno che nella somma declinazione in Barolo e Barbaresco ha reso le Langhe tra i territori più ambiti e pregiati in Italia. Un ettaro di vigneto può valere fino a 4 milioni di euro ma qui gli effetti del cambiamento climatico si sentono più che altrove.

Il 2022 ha consegnato al Piemonte la medaglia di regione d’Europa maggiormente siccitosa e il 2023 s’annuncia ancora peggiore, con precipitazioni scarsissime nell’inverno e temperature di 2 gradi più elevate rispetto alla media nel solo mese di marzo. Vignaioli ed esperti concordano nell’osservare che, per quanto la vite sia una specie capace di tollerare relativamente bene il deficit idrico, le ondate di calore e la mancanza di precipitazione stanno mettendo a dura prova anche questa coltura.

Le attuali condizioni climatiche esasperano inoltre l’attacco di patogeni e l’insorgere di gravi malattie, come la flavescenza dorata o il mal d’esca, a oggi in forte aumento. Di qui l’urgenza di selezionare vitigni resistenti alle crescenti minacce naturali. Il gruppo di ricerca del Cnr grazie a una tecnica innovativa di gene editing è riuscito ad ottenere un nuovo clone di Nebbiolo potenzialmente resiliente a diverse patologie.

Lo scoglio della burocrazia europea

Soluzione vicina? Non proprio perché la legislazione europea assimila ancora i prodotti ottenuti con queste tecnologie agli Ogm, vietandone la sperimentazione in campo.

È un grosso limite che andrebbe superato – commenta Giorgio Gambino che ha partecipato al progetto Biotech insieme a Chiara Pagliarani e Irene Perrone. – Occorrono, infatti, dai 5 ai 7 anni per verificare la resistenza di queste viti ai patogeni e per valutare le caratteristiche dei vini prodotti; più aspettiamo, più rischiamo di non essere pronti a fornire risposte concrete e tempestive quando il settore lo richiederà. È noto a tutti che gli effetti del cambiamento climatico saranno sempre più gravi in futuro e che la sola applicazione di pratiche viticole innovative e sostenibili non sarà sufficiente.

In attesa di un’apertura da parte del legislatore – che molti auspicano possano concretizzarsi entro l’anno – l’attività dei laboratori procede a ritmo serrato. Altri cloni di Nebbiolo resilienti allo stress idrico, ottenuti dallo stesso gruppo di ricerca del Cnr, sono pronti per la prova in vigneto.

Il progetto Ageba

Un’altra operazione è in corso nel Monferrato sul Barbera, vitigno che occupa la maggiore superficie vitata in Piemonte (circa 14mila ettari, il 30% del totale). Qui il Consorzio di tutela ha aperto il progetto Ageba che coinvolge l’Università Cattolica di Piacenza: l’obiettivo è individuare e mettere a dimora piante più resistenti alle mutate condizioni climatiche che conservino le potenzialità enologiche della cultivar.

Lo studio della composizione chimica delle uve ottenute nei vigneti preclonali è in capo alla sede astigiana del Crea, che ha alle spalle 150 anni di storia. Istituito da Vittorio Emanuele II come “Regia Stazione Enologica”, l’ente ha visto lavorare nei suoi laboratori alcuni tra gli scienziati più noti nel mondo del vino, come Federico Martinotti, inventore del processo di spumantizzazione in autoclave.

È riconosciuto a livello internazionale per il contributo nelle ricerche sui composti polifenolici di uve, mosti e vini come per gli studi più recenti sull’utilizzo dei sottoprodotti dell’industria enologica. Gli effetti del clima sulla vite e sul vino sono la nuova frontiera:

Confrontando le serie storiche si vede chiaramente come negli ultimi vent’anni ci sia stato un aumento netto della gradazione zuccherina e un calo dell’acidità delle uve.

Spiega Antonella Bosso, coordinatrice della sede astigiana del Crea. Nell’ultima vendemmia si sono prodotti rossi con gradazioni alcoliche di media superiori a 15 gradi, con picchi fino a 17: vini non facili da proporre al consumatore, più che mai in tempi di politica anti-alcol e di bollini rossi promossi dall’Ue.

Alla ricerca scientifica si chiedono rimedi che non sviliscano il valore intrinseco e unico delle denominazioni d’origine.

La soluzione a medio e lungo termine va trovata in vigneto – prosegue Antonella Bosso, che vanta anche una lunga esperienza in seno all’OIV, l’Organizzazione internazionale della Vigna e del Vino. – Nel medio e breve periodo sono d’aiuto le pratiche di cantina che consentono, tra l’altro, di aumentare l’acidità e di ridurre la gradazione alcolica. Su questo fronte una soluzione potrà venire dall’impiego di ceppi di lieviti con basse rese in alcol.

Il Crea possiede una collezione tra le più ampie in Italia: si parla di più di un migliaio di ceppi di lieviti e di alcune centinaia di batteri, frutto di anni di lavoro sulla conservazione della biodiversità. Ora i microorganismi possono diventare grandi alleati delle pratiche per il controllo del tenore alcolico, consentendo di preservare la qualità del vino.