Nel Mondo delle Pmi

Crowdfunding: maneggiare con cura

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di Paolo Cova

Si fa presto a dire crowdfunding. Mi invento una innovazione tecnologica e per svilupparla raccolgo fondi presso il pubblico tramite le piattaforme internet a ciò autorizzate, vendendo quote della mia società. È questo lo schema, in estrema sintesi, di una delle forme più diffuse di crowdfunding, l’equity crowdfunding.

In realtà l’entusiasmo per lo spirito democratico del crowdfunding (chiunque può aderire, senza troppe formalità), che ha portato a un imponente sviluppo del fenomeno in Italia negli ultimi anni, non deve far dimenticare la rischiosità di questo tipo di investimento.

Secondo il settimo Rapporto italiano sul crowdinvesting, reso noto dal Politecnico di Milano la scorsa estate, sono 90 le piattaforme attive sul mercato nazionale. In Italia la raccolta complessiva – riguardante cioè tutte le forme di crowdfunding – dal 1/7/2021 al 30/6/2022 è stata pari a oltre 430 milioni di euro. Essa rappresenta ancora una goccia nell’oceano rispetto agli impieghi sul mercato finanziario italiano, ma è una quota non trascurabile se rapportata alle startup e alle Pmi, le tipologie di imprese che più difficilmente riescono ad accedere al capitale.

Il fenomeno del crowdfunding – spiega Antonio Quintino Chieffo, amministratore delegato di AC Finance – è nato attorno al 2010 e negli anni si è via via più affinato. Limitandoci all’equity crowdfunding, inizialmente riguardava solo start up o PMI innovative.

Poi, con gli anni, si è permesso a qualsiasi azienda di entrare nelle piattaforme. Così oggi l’equity crowdfunding, di fatto, è aperto ai settori più diversi, quindi non solo a quelli prettamente innovativi, ad aziende italiane ed estere, di qualsiasi dimensione. Anche se poi, in realtà, le grandi aziende hanno canali di finanziamento propri e non hanno bisogno di ricorrere al crowdfunding.

Chieffo, come advisor e CFO dell’operazione, si è occupato direttamente dell’attività di Forever Bambù. Forever Bambù ha raccolto oltre 30 milioni di euro, di cui 20 in crowdfunding (record europeo) grazie a oltre 1600 soci provenienti da tutta Europa. Nel 2021 è diventata Società Benefit riunendo 29 società agricole, e gestisce 750 ettari di terreno di cui 250 sono di proprietà. L’azienda ha oggi intenzione di intraprendere la strada per la quotazione in Borsa: sarebbe la prima società di gestione di foreste a scopo industriale a valutare questa strategia di crescita.

Crowfunding: attenzione a questi nodi

Ma quali sono le controindicazioni del crowdfunding, che pure può rappresentare, soprattutto per le startup o le PMI, un canale di finanziamento alternativo al sistema bancario?

Il vero limite è che non esiste ancora, per il crowdfunding, un mercato secondario. Se investo e compro quote ma poi un domani voglio rivenderle, non ho un listino cui rivolgermi (per quanto possano valere i listini). Devo trovarmi io a chi vendere, magari a un socio della campagna stessa di crowdfunding cui ho partecipato. Ma non è facile.

C’è di più:

Negli ultimi dieci anni, tra le aziende che hanno usufruito del crowdfunding, pochissime hanno rispettato il business plan che si erano ripromesse. Perché quando si crea una  startup ci sta che il business non sia centrato esattamente, e poi perché spesso la valutazione della startup è sovradimensionata, cioè l’iniziativa è sovrastimata.

Conclusione:

Pur essendo la normativa fiscale molto allettante per chi investe in crowdfunding (il 30-50% della somma diventa credito fiscale, è un guadagno immediato) l’investimento in crowdfunding è molto rischioso, la volatilità è molto alta. Se l’azienda o il progetto non decolla, rischio di non vedere più i miei soldi.

A meno di sottoscrivere minibond dell’azienda, se previsti: ma in questo caso al minor rischio si affianca una minore remunerazione.