Nel Mondo delle Pmi

Legàmi: la multinazionale tascabile

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di Franco Vergnano

Légami! (¡Átame!) è un drammatico, e meraviglioso, film diretto nel 1990 dal grande regista spagnolo Pedro Almodòvar ma non ha niente a che fare con l’omonima azienda bergamasca, che si scrive allo stesso modo e si pronuncia Legàmi.

Una storia che rappresenta, quasi all’ennesima potenza, il genius loci e la creatività a prova di sorpresa del Made in Italy, capaci di partire dalla vecchia (e passata di moda cinghia per i libri, oggetto cult per gli studenti degli anni Sessanta e Settanta), per costruire una piccola multinazionale tascabile specializzata in cartoleria e oggettistica, con un business invidiabile pur vendendo oggetti (quasi) banali, a cominciare dalle matite, con un prezzo unitario basso, in punti vendita degni di una boutique: fino a 4mila articoli diversi su una superficie di 70 metri quadrati.

L’azienda, nata a Bergamo nel 2003, sta vivendo una crescita esponenziale: nei cinque anni prima del Covid il giro d’affari ha tenuto una media annua del +30%. E se anche la pandemia ha causato una contrazione del 13%, il rimbalzo ha già superato il 60%.

Legàmi chiude così i bilanci con più di 10 milioni di prodotti distribuiti, per oltre il 60% all’estero, in 26 boutique monomarca, quasi 140 corner (tra cui El Corte Inglés in Spagna e Galeries Lafayette in Francia) e centinaia di punti vendita in 80 Paesi nel mondo.

Per fine anno – racconta il fondatore e amministratore delegato, Alberto Fassi – apriremo un poker di franchising a Dubai.

Numeri pesanti che hanno attirato interesse e che potrebbero far pensare a una prossima quotazione sul mercato Euronext Growth Milan di Borsa Italiana, se ci saranno le giuste condizioni, per accelerare i piani di crescita aziendali.  Tra questi spicca il rafforzamento della vocazione internazionale dell’azienda.

Stiamo pensando a uno sviluppo per linee esterne all’estero, rilevando marchi importanti e conosciuti, se si presenteranno delle opportunità.

Dietro questo successo c’è Alberto Fassi, vulcanico CEO e mente creativa dell’azienda. Dopo una laurea alla Bocconi e un corso di perfezionamento alla Scuola superiore Essec a Parigi, è entrato nella società di revisione Kpmg come consulente finanziario. Poi, 19 anni fa, decise di lasciare il lavoro e tornare di nuovo all’università. «Kpmg è stata per me una grande scuola e sono loro molto riconoscente – ricorda Fassi – però sentivo che quella non era la mia strada. Ho deciso quindi di rimettermi in gioco in un campo più vicino alle mie aspirazioni. Mi sono iscritto a un master universitario in creatività alla Cattolica di Milano e, siccome non mi sono mai piaciuti gli zaini, ho rispolverato la mia vecchia cinghia per i libri».

Da lì è nata l’idea: come progetto finale del master, Fassi ha presentato una rivisitazione proprio della cinghia vintage; il tutto è piaciuto ai professori, ricorda l’imprenditore.

E io allora ho deciso che non mi sarei fermato a quello.

Con la liquidazione del precedente impiego ha finanziato il progetto, e nel garage dei genitori è nata Legami. L’azienda «si pronuncia Legàmi – spiega Fassi – anche se all’inizio il nome era volutamente ambivalente: poteva essere interpretato sia come una sorta di invito, lègami, riferito al tenere insieme i libri, oppure legàmi, inteso come la capacità di creare relazioni fra le persone e con gli oggetti di uso quotidiano che ci circondano. Non a caso la cinghia ha sette colorazioni diverse: in rosso a simboleggiare l’amore, in verde per la sincerità, e via dicendo».

Il business non trascura l’aspetto sociale. Legami è già un’azienda carbon neutral e ha azzerato l’impatto climatico bilanciando le sue emissioni di CO2 attraverso due progetti rilevanti: la piantumazione e la tutela di una parte della foresta amazzonica e la produzione sostenibile di energia idroelettrica in India.

Ci impegniamo per ridurre sempre più l’impatto della sede centrale e di tutti i punti vendita – conclude Fassi – mentre sul fronte dei prodotti abbiamo un piano per la revisione dei materiali che utilizziamo e di tutti i packaging.

Modello produttivo ad assetto variabile”

Alberto Fassi prima del Covid trascorreva 6-8 mesi l’anno all’estero, da Singapore a Shangai, da Tokyo a New York, «città dov’è possibile scovare, per chi fa il mio mestiere, cose interessanti ed essere continuamente stimolati». Oggi viaggia un po’ meno, pur mantenendo quotidianamente rapporti e contatti con partner e fornitori in tutto il mondo.

Da poco rientrato da Hong Kong. È andato sia a vendere sia a comprare, alla faccia di chi dice che la globalizzazione è morta e sepolta. Nel senso che l’azienda da lui fondata quando «non ero ancora trentenne» continua a mantenere il quartier generale in Lombardia, ma ha attuato una politica produttiva ad “assetto variabile” e fa realizzare i suoi articoli in giro per il mondo, senza pregiudizi, nei Paesi dove è più conveniente.

Ci riforniamo – spiega il CEO di Legami – dall’Italia alla Cina, passando per il Giappone, Taiwan, Corea, Turchia.

In questo avvantaggiato anche dal fatto che, pure in presenza di una eventuale “rottura di stock” per qualche falla della catena logistica, il florido business non verrebbe compromesso.

Quest’anno – dice con orgoglio Fassi – dovremmo toccare i 70 milioni di euro. Pensi che, quando ho cominciato nel negozio dei miei genitori, avevo sul conto corrente appena 7mila euro.