Nel Mondo delle Pmi

Made 4.0: transizione digitale decisiva

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di Dino Bondavalli

«Le azienda nate con il boom economico degli anni ’60 e ’70, per le quali il fattore di competitività internazionale era rappresentato dal prodotto e dalla capacità di invenzione, devono capire che oggi velocità, servizio, trasparenza logistica e reattività contano molto più che in passato. Oggi il rischio che ci sia qualcun altro che fa un prodotto come il tuo a livello globale è molto più alto, bisogna capire che la leadership è minacciata da questo bundle di offerta». È un allarme in piena regola quello lanciato da Marco Taisch, presidente di MADE – Competence Center Industria 4.0, nato circa due anni fa a Milano per iniziativa di 40 imprese private, quattro atenei lombardi e un’istituzione pubblica (INAIL).

Alla guida di una delle realtà più importanti tra quelle impegnate nel trasferimento alle PMI italiane delle competenze tecnologiche sui temi dell’industria 4.0, Taisch ha da sempre lo sguardo proiettato al futuro.

L’Italia è un grande Paese di produttori di beni strumentali, capace di immaginare e realizzare macchine e impianti bellissimi, ma i nostri imprenditori nei prossimi anni rischiano di morire perché non si accorgono che ci sono altre dimensioni più importanti del semplice prodotto.

Per questo è fondamentale che anche le realtà di piccole e medie dimensioni abbraccino le tecnologie che l’industria ha in molti casi già fatto proprie.

Nonostante il settore manifatturiero italiano sia ai primi posti a livello europeo, il DESI index indica che siamo tra gli ultimi per livello di digitalizzazione (18° posto su 27) – spiega Taisch. – L’unica risposta alle sfide che oggi le aziende si trovano ad affrontare (crisi delle catene di approvvigionamento, prezzi dell’energia, reshoring, mancanza di competenze) sta nel presidiare la transizione digitale, che deve portare a un efficientamento del sistema fabbrica in ottica di riduzione dei costi e dei consumi e ottimizzazione dei processi e della transizione ecologica.

La possibilità di trasferire informazioni in tempo reale, di esporre le proprie merci in un mercato globale, di raccogliere dati, di avere accesso a informazioni che in passato le piccole e medie imprese faticavano ad avere rappresenta una prospettiva completamente nuova. Ma le PMI non sempre hanno una propensione adeguata a fare innovazione.

I Competence Center ci sono proprio per cercare di stanare queste aziende: chi non conosce le nuove tecnologie e le loro potenzialità non le cerca nemmeno, per cui finisce per non sfruttare l’industria 4.0 e le sue possibilità – sottolinea il presidente di MADE 4.0. – Noi illustriamo in maniera molto pratica qual è l’impatto della tecnologia digitale sui loro prodotti, sui loro processi, sulla fabbricazione e sulle filiere. Poi accompagniamo le aziende a fare dei progetti di implementazione delle tecnologie digitali.

In due anni di attività MADE 4.0 ha erogato circa 27mila ore-uomo di formazione, fatto formazione a più di 4mila persone di 1.300 imprese e realizzato 140 progetti di trasferimento tecnologico.

Numeri importanti, ma ancora piccoli rispetto a ciò di cui il Paese avrebbe bisogno – rimarca Taisch – Solo in Lombardia sono 200mila le imprese che potrebbero aver bisogno dei nostri servizi.

Quanto agli effetti di queste operazioni, «che noi proponiamo e conduciamo partendo da una posizione unica che deriva dal fatto di non vendere tecnologia, software o hardware, perché siamo una realtà unica senza fini di lucro finanziata dal Ministero dell’Industria e del Made in Italy, misurarne i benefici in tempi così brevi è difficile», spiega Taisch.

L’impatto più forte che i Competence Center stanno avendo è in termini culturali, perché ogni euro investito in know how rende tantissimo, visto che dà alle aziende gli strumenti e le competenze per poter poi diventare ambasciatrici a loro volta nel mondo dell’impresa.

Uno sguardo alla crescita del PIL può però aiutare a capire la portata dell’operazione. Il fatto che l’Italia nel 2021-22 abbia avuto una crescita superiore a Francia e Germania «è con tutta probabilità legato al lancio dell’industria 4.0 nel 2017, i cui frutti si sono cominciati a vedere a tre anni di distanza», afferma Taisch.

Per ogni euro prodotto nel sistema manifatturiero ce ne sono infatti altri 2,1-2,2 nella logistica e in tutti i servizi che ruotano intorno.

Il competence center MADE 4.0 avvierà oltre 300 nuovi progetti all’anno grazie alle risorse del PNRR dedicate all’innovazione (113,5 milioni per il rifinanziamento della rete nazionale dei Competence Center). Il finanziamento che la struttura milanese riceverà per i prossimi due anni sarà tra i 10 e i 20 milioni.

La sfida della sostenibilità altro banco di prova del mercato

Non solo innovazione tecnologica. Tra le sfide che le piccole e medie imprese italiane devono necessariamente affrontare per non ritrovarsi nel giro di pochi anni tagliate fuori da un mercato del quale magari oggi sono leader c’è anche quella della sostenibilità, intesa come sfida ambientale, sociale ed economica. Se gli over 40 hanno imparato – o stanno imparando – a convivere con questo concetto, per le nuove generazioni si tratta ormai di un prerequisito alla base delle decisioni che prendono nel momento in cui fanno un acquisto, pianificano un viaggio, si candidano per una posizione lavorativa o decidono come investire i propri risparmi.

«I 15-25enni di oggi hanno una consapevolezza matura del concetto di sostenibilità che per certi versi sembra incredibile per quanto è informata», conferma Marco Taisch, presidente di MADE – Competence Center Industria 4.0.

Non è una consapevolezza romantica, bucolica, ideale, ma sanno davvero parlare di impatto ambientale, di CO2 e di altri temi che motivano i loro processi di acquisto.

Una consapevolezza diffusa, di fronte alla quale le PMI italiane devono attrezzarsi per riuscire a proporre prodotti che non siano semplicemente green, ma che diano anche certezza in termini di tracciabilità e certificazione. «Il messaggio è che le piattaforme IoT (Internet of Things) servono non solo per fare macchine che consumano di meno, ma per poter condividere dei dati che inducono i consumatori a fare una scelta consapevole», sottolinea Taisch.

Ci sono già catene della grande distribuzione che chiedono ai produttori di beni venduti con il marchio del supermercato di prepararsi a indicare sul prodotto il suo impatto ambientale.