Nel Mondo delle Pmi

Space economy, la carica delle startup nella “cintura lariana”

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di Paolo Cova

Lo spazio è ormai una quarta dimensione “civilizzata”, già si parla di clouding spaziale e di Internet of things in orbita grazie a nanosatelliti (meno di 10 chili di peso) o a picosatelliti (sotto il chilo), oggetti grandi come una scatola per scarpe o un pacchetto di sigarette, magari orbitanti in costellazione. La civilizzazione dello spazio ha però portato con sé nuovi problemi: tra questi, i rifiuti spaziali e l’ingorgo delle orbite. Insomma, l’economia circolare e la sostenibilità spaziali sono ormai all’ordine del giorno.

Tra le aziende protagoniste su questi temi ce ne sono tre, nate e cresciute ai piedi delle prealpi comasche, in una sorta di “space belt” lariana. In cima al lago di Como, a Gera Lario, per inciso, già dal 1975 è attiva Telespazio con le sue cinquanta antenne grandi e piccole, dove nel 1986 atterrò la prima comunicazione internet per l’Europa. Le tre aziende di cui raccontiamo sono assai più giovani, e vedono i giovani protagonisti.

D-Orbit

D-Orbit ha sede a Fino Mornasco, a pochi chilometri da Como. È una ex startup, partita da un garage:

Anzi, il mio primo ufficio erano gli scompartimenti dei treni, quando ancora studiavo al Politecnico e facevo il pendolare.

Racconta Lorenzo Ferrario, 34 anni, chief technical officer, che con Luca Rossettini e Renato Panesi fondò l’azienda nel 2011. D-Orbit si definisce un’azienda di logistica spaziale, dove la D sta per deorbiting, cioè la rimozione di un satellite dalla sua orbita.

Lorenzo Ferrario, chief technical officer di D-Orbit
Lorenzo Ferrario, chief technical officer di D-Orbit

«Il nostro primo obiettivo fu ideare e commercializzare un dispositivo, da montare sui satelliti, che permettesse di rimuovere i satelliti stessi dall’orbita» per fare un po’ di pulizia lassù. Dal 1957 a oggi sono stati inviati in orbita più di 15mila satelliti. Secondo l’Esa, l’agenzia spaziale europea, ruotano attorno alla Terra oltre 36.500 oggetti di dimensioni superiori ai 10 centimetri. Il rischio di collisione è altissimo, la spesa per proteggere un satellite da eventuali impatti arriva a essere il 10% del costo della missione completa.

Col tempo D-Orbit (275 addetti, sedi anche negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Portogallo) si è specializzata come azienda di logistica spaziale: «Facciamo servizi di due tipi: trasportiamo altri satelliti attaccati ai nostri, che costruiamo noi, rilasciandoli nel punto previsto. Il termine Otv (Orbital transfert vehicle) prima di noi non esisteva. Se il razzo è come la nave container, il nostro satellite è il furgone del corriere che sbarca dalla nave e consegna all’ultimo miglio il pacchetto (il satellite ospite)».

Lo scorso 13 giugno D-Orbit ha lanciato l’undicesima missione commerciale in tre anni, la quinta nel 2023. «Il secondo servizio è il payload hosting, cioè trasportiamo in orbita strumenti, macchinari, esperimenti, software dei clienti vendendo loro, in sostanza, degli slots, cioè tempo-satellite. Anche con abbonamenti o pacchetti mensili. In sostanza tu cliente puoi avere un satellite senza costruirtelo». Col lancio del 13 giugno sono oltre 110 i payloads mandati in orbita.

Non mi vergogno di dire che a ogni lancio l’emozione mi fa piangere.

Ammette Ferrario. A Fino Mornasco l’azienda costruisce i satelliti e ha una sala controllo per le orbite. I vettori sono americani (Nasa, Space X) o europei (Ariane). I clienti sono istituzionali (agenzie spaziali e centri di ricerca) o commerciali (aziende e privati). Il fatturato 2022 è stato di 11 milioni di euro «ma i nostri contratti sono pluriennali, per cui il fatturato non dà l’idea precisa del lavoro svolto».

Tra i programmi in fase di sviluppo sono da citare l’in orbit servicing («non solo trasportare i satelliti ma agire su quelli già in volo») e lo space cloud computing:

Vogliamo offrire più potenza elettrica, puntamento e scarico dei dati. Ad esempio dare la possibilità di scaricare dai satelliti solo certi dati e certe foto, non tutto, in modo da garantire più velocità e meno intasamento nelle comunicazioni.

Involve Space

A quote più basse, ma con non minore innovazione, lavora Involve Space, che ha sede a Erba. La sfida in questo caso è usare uno strumento nato nel Settecento, il pallone aerostatico, per servizi nella stratosfera (dai 30 ai 45 chilometri di altezza: per avere un’idea, gli aerei commerciali volano a 10 chilometri, i satelliti non geostazionari a 300), trasformando i venti da nemici in alleati, grazie all’intelligenza artificiale.

, il team di Involve Space: a sinistra Jonathan Polotto, a destra Claudio Piazzai.
il team di Involve Space: a sinistra Jonathan Polotto, a destra Claudio Piazzai.

In Italia Involve Space è unica, in Europa ha tre concorrenti. Più numerose le realtà analoghe negli Usa. «I primi lanci li abbiamo effettuati nel 2015, ancora in ambito scolastico – spiega Jonathan Polotto, 23 anni, ceo e director – per fare un video da 30mila metri di altezza, a scopi ricreativi. Che battaglie per avere le autorizzazioni! Altri lanci si sono susseguiti, nel 2021 s’è costituita la startup con la prototipazione del pallone e della sonda contenente l’elettronica di bordo e il carico».

I dodici addetti, tra tecnici e commerciali, sono concentrati sulla ricerca e lo sviluppo. Negli ultimi due anni sono stati 25 i lanci, tutti con palloni ad elio, sostenibile al 100%.

Tre i servizi offerti per ora. Innanzitutto la ricerca scientifica con la rilevazione di dati sull’atmosfera e l’inquinamento per conto di aziende, enti di ricerca e università. Poi l’osservazione della Terra con ottiche e strumenti per monitorare, ad esempio, le coltivazioni o per finalità di sicurezza e difesa, o ancora per la protezione civile. Infine i test per i satelliti di terzi:

In questo caso appendiamo ai nostri palloni i satelliti di terzi destinati ad andare nello spazio in futuro. Lanciare un pallone è molto più economico che lanciare un razzo e, allo stesso tempo, un test a 30mila metri è assai più attendibile di un test in laboratorio.

La sfida prossima è quella di affinare le telecomunicazioni attraverso i palloni, e quindi posizionarli in costellazioni. Spiega Claudio Piazzai: «L’obiettivo è rendere il pallone autonomo dal punto di vista del controllo, non in balìa dei venti. Oggi gli algoritmi e l’intelligenza artificiale possono, elaborando le previsioni meteo, inserire il pallone all’altitudine desiderata sfruttando i venti e quindi tenerlo in posizione il più possibile. L’obiettivo è che il pallone possa rimanere in missione settimane o anche mesi. Una costellazione di palloni su una certa area può osservare aree più vaste e garantirne le telecomunicazioni. Con questo, ampliare le aree di business».

Pensiamo a quanto sarebbe stata utile (e relativamente economica e pronta da lanciare con scarso preavviso) una costellazione di palloni sull’Emilia Romagna allagata, in cui la rete dei cellulari era saltata… È stato calcolato che una quarantina di palloni potrebbero coprire tutta l’Europa garantendo osservazioni e telecomunicazioni in modo molto più economico che con i satelliti.

Il bello – conclude Polotto – è il recupero dei palloni. Sappiamo le zone dove atterrano, càpita di dove scarpinare per montagne o per boschi per poterli recuperare…

L’ultima frontiera: kit fai-da-te per operatori spaziali

Si chiama Da Vinci Caelum, ed è un kit per farsi un proprio lancio spaziale stratosferico in autonomia. A proporre il prodotto è Involve Space. Il kit contiene una sonda, un pallone aerostatico, un computer di bordo, un alimentatore di bordo, un paracadute, un manuale di missione, un elenco dei distributori di elio e la licenza di volo. Con all’incirca mille euro si diventa operatori spaziali.

«Involve Space è nato da ragazzi. Vogliamo con questo kit dare la possibilità a scuole, associazioni di ricerca e/o di appassionati di provare a fare un lancio a 30 chilometri di altezza. C’è anche la possibilità di aggiungere moduli per misurare l’inquinamento dell’aria o per montare una videocamera o un altro oggetto esternamente alla sonda». Info e contatti su davincicaelum.involvespace.it

Leaf Space

Giovanni Pandolfi Bortoletto e Jonata Puglia di Leaf Space
Giovanni Pandolfi Bortoletto e Jonata Puglia di Leaf Space

Più…terrestre ma non meno importante, in ottica spaziale, è l’attività di Leaf Space, sede a Lomazzo. L’azienda, nata nel 2014, gestisce 16 antenne dislocate in tutto il mondo (Europa, Australia, Nuova Zelanda, Mauritius, Cile, Bermuda, Corea) per garantire al meglio la connettività coi satelliti. Spiega il ceo Jonata Puglia: «Il nostro claim è: avvicinare lo spazio al mondo di tutti. Offriamo servizi di telecomunicazione, la possibilità di scaricare in tempo reale i dati dallo spazio. Ogni antenna “vede” in media un satellite, che viaggia a 28mila km/ora, per dieci minuti. Quindi abbiamo moltiplicato le antenne per avere sempre connettività. Il tutto in automatico, superando anche i “buchi” rappresentati dagli oceani».

Negli ultimi due anni il fatturato di Leaf Space è triplicato: nel 2022 è stato attorno ai 2 milioni di euro. Gli addetti sono 40, con una età media di 30 anni.

Oggi siamo il secondo operatore al mondo per connettività. Eroghiamo ai nostri clienti 11mila slot (passaggi) al mese. Due anni fa erano 300 al mese.

Anche Puglia (e l’altro cofondatore, Giovanni Pandolfi Bortoletto) ha iniziato da un garage:

Montavo antenne, che poi regolarmente non funzionavano.

Clienti: agenzie spaziali, aziende spaziali e non, centri di ricerca. «L’obiettivo entro 18 mesi è di arrivare a una cinquantina di antenne in modo da garantire sempre più connettività. Già oggi le mappe sono aggiornate ogni due-tre settimane. Arriveremo a poter sapere in tempo reale quali posti auto sono liberi in una certa via di Milano».