Scenari

Dietro la pausa della Bce sui tassi nessuna garanzia

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di Luigi Dell’Olio

La stretta dovrebbe essere terminata, ma gli effetti delle scelte passate non si sono ancora visti fino in fondo sui bilanci delle imprese e delle famiglie. È la sensazione diffusa tra gli analisti dopo la decisione assunta il 26 ottobre dalla Bce di evitare un nuovo rialzo dei tassi. Fino a giugno del 2022, il tasso ufficiale era a zero, ma da quel momento in avanti l’istituto guidato da Christine Lagarde ha reso via via più costoso l’accesso ai finanziamenti con l’obiettivo di abbattere la corsa dell’inflazione. Per tutto l’autunno dello scorso anno i prezzi nell’Eurozona hanno continuato a crescere, raggiungendo le due cifre percentuali, poi dal nuovo anno è partita la retromarcia, anche se il carovita resta abbondantemente sopra il 2%, che è l’obiettivo indicato nello statuto dell’Eurotower.

«Ci si attende tuttora che l’inflazione resti troppo elevata per un periodo di tempo troppo prolungato», si legge nel comunicato diffuso dall’istituto di Francoforte a margine della riunione, che conferma una volta ancora come la bussola della Bce sia l’andamento dei prezzi nell’area. Su questo terreno si naviga a vista, con uno sguardo attento ai dati che via via arrivano dal mercato, in primis quelli sull’inflazione nell’Eurozona, ma anche i segnali anticipatori come i prezzi delle materie prime e l’andamento degli ordinativi (che esprime la forza o meno della domanda).

Lo scoppio delle tensioni in Medio Oriente ha portato a un rimbalzo dei prezzi petroliferi, anche se fin qui non vi sono stati sconquassi come invece accaduto nel passato. Anche perché gli spazi di ulteriore rialzo delle quotazioni sono limitati a fronte di una congiuntura che si va indebolendo e comporta pertanto una minore pressione della domanda sull’offerta.

A questo proposito, il comunicato della Bce, attraverso un ragionamento articolato, ha sottolineato che confida in un calo per una ragione sostanzialmente “aritmetica”. In pratica, il punto di partenza (il carovita dello scorso autunno) limita gli spazi di ulteriore crescita.

La pausa decisa dalla Bce, pur a fronte di un’inflazione che continua a crescere, si spiega essenzialmente con la constatazione che le decisioni di politica monetaria di solito producono effetti sull’economia reale (in sostanza un calo della domanda a fronte del costo di finanziamento più elevato) a distanza di due o tre trimestri. Dunque, i rialzi del recente passato non hanno ancora prodotto pienamente le conseguenze attese.

In ogni caso la Lagarde si è mostrata ottimista sulla capacità dell’istituto di riportare il carovita su livelli sostenibili: «Secondo l’analisi del Consiglio direttivo, i tassi di interesse di riferimento della Bce si collocano su livelli che, mantenuti per un periodo sufficientemente lungo, forniranno un contributo sostanziale al conseguimento di tale obiettivo».

Minori certezze ci sono, invece, per le prossime mosse: «Le decisioni future del Consiglio direttivo assicureranno che i tassi di riferimento siano fissati su livelli sufficientemente restrittivi finché necessario». Questo ha indotto qualche osservatore a leggervi un’apertura a possibili tagli nel breve, ipotesi che la stessa Lagarde ha tuttavia smentito, sottolineando che l’ipotesi non è nemmeno stata presa in considerazione, in quanto prematura. «Ora dobbiamo stare fermi, siamo in pausa», ha aggiunto. Anche perché i rialzi dei tassi decisi in passato si «stanno trasmettendo con vigore» alle condizioni di finanziamento, «frenando in misura crescente la domanda e contribuendo pertanto alla riduzione dell’inflazione». E in effetti, si segnalano cali evidenti dell’inflazione a ottobre in molti Paesi europei: Italia 2,4%, Germania 3,8%.

Secondo i calcoli di Facile.it e Mutui.it, a questo punto l’aumento sulle rate dei mutui variabili italiani si fermerà a 294 euro rispetto a gennaio del 2022 (+64%). Analizzando un mutuo medio a tasso variabile sottoscritto a inizio dello scorso anno, la rata mensile è passata da 456 euro di gennaio 2022 ai 750 euro di oggi, in aumento del 64%. Sommando i rincari mensili, l’esborso aggiuntivo per i mutuatari è stato addirittura superiore ai 2.850 euro. E condizioni più gravose rispetto a qualche trimestre fa si riscontrano anche sui finanziamenti alle imprese. Nel terzo trimestre, segnala la Banca d’Italia, i criteri di offerta sui prestiti alle imprese hanno registrato un ulteriore irrigidimento, dovuto alla «minore tolleranza e maggiore percezione del rischio».

La domanda di credito da parte delle imprese è calata per «l’aumento del livello dei tassi di interesse, il calo del fabbisogno per la spesa in investimenti fissi e il maggiore ricorso all’autofinanziamento».

Detto di quel che è stato fin qui, c’è poca fiducia sulla possibilità di un miglioramento a breve della situazione, complice il deterioramento della congiuntura. Ricordando che, al di là dei tassi, le decisioni relative agli investimenti vengono assunte guardando ai possibili sviluppi dello scenario economico.