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Le case dovranno diventare “verdi”. Ma c’è il rebus dei costi. E i tempi sono stretti

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Di Mara Canozai

La burocrazia, che anche nell’Unione europea non scherza, parla di Epdb (acronimo di Energy performance of building directive); i tecnici parlano di abitazioni efficienti, mentre per noi, nel linguaggio di tutti i giorni, sono le case green. Dopo innumerevoli discussioni e passaggi formali, che hanno addolcito la stretta iniziale, l’europarlamento ha dato via libera definitivo alle nuove norme che mirano a ridurre progressivamente le emissioni di gas serra e i consumi energetici nel settore dell’edilizia entro il 2030, e a centrare il traguardo della neutralità climatica entro il 2050. Secondo la Commissione, gli edifici nella Ue sono responsabili del 40% dei consumi energetici e del 36% delle emissioni climalteranti.

L’accordo dovrà ora essere confermato dai governi nazionali per poi essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale ed entrare in vigore venti giorni più tardi. I Ventisette avranno due anni di tempo per adeguarsi presentando a Bruxelles le loro tabelle di marcia per indicare la via che intendono seguire per centrare gli obiettivi di effiencientamento.  La Commissione europea stima che entro il 2030 saranno necessari 275 miliardi di euro di investimenti annui per la svolta energetica del parco immobiliare, ovvero 152 miliardi di euro di investimenti all’anno in più rispetto alle risorse attuali. Non sono previsti finanziamenti dedicati, ma i Paesi potranno attingere ai fondi Ue per sostenere la svolta: tra questi, il Fondo sociale per il clima, il Recovery fund e i Fondi di sviluppo regionaleCosa cambia per gli edifici

Le norme approvate, che rappresentano uno dei pilastri del Green Deal europeo, sono quelle che già si sapevano da un anno, dopo il primo via libera. Gli edifici di nuova costruzione dovranno essere a emissioni zero, a partire dal 2030; gli edifici nuovi occupati o di proprietà delle autorità pubbliche dovranno essere a emissioni zero a partire dal 2028. Gli Stati membri potranno tenere conto, nel calcolare le emissioni, del potenziale impatto sul riscaldamento globale del corso del ciclo di vita di un edificio, inclusi la produzione e lo smaltimento dei prodotti da costruzione utilizzati per realizzarlo. Per gli edifici residenziali, i Paesi membri dovranno adottare misure per garantire una riduzione dell’energia primaria media utilizzata di almeno il 16% entro il 2030, rispetto al 2020, e di almeno il 20-22% entro il 2035, sempre rispetto al 2020.

Caldaie e pannelli solari

In base alla nuova direttiva, gli Stati membri dovranno inoltre ristrutturare il 16% degli edifici non residenziali con le peggiori prestazioni entro il 2030 e il 26% entro il 2033: i Paesi dovranno introdurre requisiti minimi di prestazione energetica. Se tecnicamente ed economicamente fattibile, si dovrà garantire l’installazione progressiva di impianti solari negli edifici pubblici e non residenziali, in funzione delle loro dimensioni, e in tutti i nuovi edifici residenziali entro il 2030.

A partire dal 2025, sarà vietata la concessione di sovvenzioni alle caldaie autonome a combustibili fossili. Saranno ancora possibili incentivi finanziari per i sistemi di riscaldamento che usano una quantità significativa di energia rinnovabile, come quelli che combinano una caldaia con un impianto solare termico o una pompa di calore. La nuova normativa, eccezione rilevante per un Paese come l’Italia, non si applica agli edifici agricoli e agli edifici storici, e i Paesi membri possono decidere di escludere anche gli edifici protetti per il particolare valore architettonico o storico, gli edifici temporanei, le chiese e i luoghi di culto.

I nodi: risorse e tempi

Resta il rebus dei costi di una stretta che porterà alla riqualificazione in pochi anni di oltre 500mila edifici pubblici e 5 milioni di edifici privati con le prestazioni più scadenti. Il Codacons ha stimato in 108 miliardi di euro il conto per adeguare le abitazioni italiane: secondo l’associazione dei consumatori, la spesa media oscillerà tra 35mila e 60mila euro per un appartamento di 100 metri quadri, ma si sale a oltre 100mila euro se agli interventi di efficientamento energetico si sommano quelli per il miglioramento sismico. Un investimento che gli italiani non sembrano disposti ad affrontare: secondo una ricerca degli istituti mUp Research e Norstat per Facile.it, solo uno su cinque sarebbe pronto a ristrutturare la propria casa anche senza nuovi aiuti da parte dello Stato.

Si tratta ora di vedere quale impatto i nuovi vincoli della direttiva avranno sui bonus edilizi: l’ecobonus scadrà alla fine del 2024 e il Superbonus un anno dopo. Via libera definitivo della Ue alla direttiva che impone all’edilizia limiti stringenti per centrare l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050. Un conto fino a 60mila euro per le famiglie. E le imprese lanciano l’allarme: scadenze troppo ravvicinate

«Si può immaginare che il nuovo sistema degli incentivi non cambierà molto. La direttiva consente infatti ai Paesi membri di adottare misure che prevedano la riduzione delle tasse, come le detrazioni fiscali fino ad ora utilizzate, ma anche forme di risparmio come lo sconto in fattura. Sono inoltre previsti fondi di garanzia»

I tempi oltretutto sono stretti, e servo no decisioni veloci. Commenta il presidente di CNA Veneto, Moreno De Col:

«Siamo senz’altro concordi con la necessità di una riduzione sostanziale e veloce dei consumi per far fronte all’emergenza climatica e ambientale ma riteniamo che allo stato attuale la scadenza del 2030 sia un obiettivo sinceramente irraggiungibile per il nostro Paese. Basti pensare che, in circa 3 anni, con il Superbonus che ha messo in campo risorse e strumenti, si è riusciti ad efficientare meno del 4% degli edifici con un risparmio energetico di poco più del 3%. Facendo le debite proporzioni, ci vorrebbero almeno 5 Superbonus per raggiungere in soli sei anni – da qui al 2030 – l’efficientamento previsto dall’Europa. Un obiettivo a nostro avviso troppo ambizioso e difficilmente raggiungibile»

Ad ora, aggiunge De Col – «non sono previsti altri strumenti quali cessione di crediti o sconto in fattura, mancano gli incentivi e per raggiungere il target previsto il limite temporale è troppo stretto».

Interventi anche in ottica della riforma fiscale

Sui lavori per efficientare abitazioni e uffici pende anche l’incognita della riforma fiscale. Lo ha sottolineato il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin:

«Gli interventi dovranno essere valutati anche nell’ottica della riforma fiscale, però non è qualcosa di immediato ed automatico. Bisogna fare una scala di priorità degli interventi che vanno dalle pompe di calore al doppio vetro e naturalmente con una programmazione»

Il ministro ha comunque sottolineato che la direttiva «è un vincolo di Stato, non è un vincolo per i singoli. Quindi è una valutazione che deve fare lo Stato».

Le polemiche in vista del voto Ue

Inevitabilmente il provvedimento europeo è destinato a rinfocolare le polemiche politiche, sia sul fronte interno per i costi a famiglie e imprese che comporteranno interventi come cappotto termico, sostituzione degli infissi, nuove caldaie a condensazione, pannelli solari; sia soprattutto in ottica del voto europeo dell’8 e 9 giugno. I partiti del centrodestra italiano hanno votato per lo più contro la direttiva: compatti Fdi e Lega. «L’ennesima follia europea» ha commentato Matteo Salvini.

«Grazie all’impegno della Lega e del gruppo ID, erano già state fermate alcune delle eco-follie volute dai burocrati, ma non è bastato. La nostra battaglia continua: serve un cambio di rotta per rivedere la direttiva, mandando a casa le sinistre e portando a Bruxelles una nuova maggioranza di centrodestra»

La delegazione italiana del Ppe in maggioranza si è espressa contro, tranne la vice capodelegazione Alessandra Mussolini e Herbert Dorfmann della Sudtiroler Volkspartei, che hanno votato a favore. Favorevoli M5S (Non Iscritti), Pd (S&D), Italia Viva (Renew) e i tre italiani dei Verdi/Ale (Rosa D’Amato, Piernicola Pedicini, Ignazio Corrao). Tra i contrari anche Fabio Massimo Castaldo (Azione). La direttiva è passata con ampio margine – 370 voti favorevoli, 199 contrari e 46 astensioni – grazie ai voti di buona parte del Ppe, di Renew, della quasi totalità di S&D e Sinistra e della totalità dei Verdi/Ale. Contrari l’Ecr, Identità e Democrazia, una cinquantina di Popolari e una minoranza di Renew.