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Francesco e la “bandiera bianca” in Ucraina: cosa ha detto davvero il pontefice

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Cosa poteva dire di diverso il capo della chiesa cattolica romana? È giusto porsi questa domanda, che si creda o meno, dopo il putiferio scatenato da alcune dichiarazioni di papa Francesco fatte durante un’intervista che andrà in onda il 20 marzo prossimo sulla Radio Televisione Svizzera (RSI) in un programma chiamato Cliché. Una puntata dedicata al bianco, in tutte le sue declinazioni, colore, luce, simbolismi.

La notizia circola da un paio di giorni nel mondo reale e in quello dei social è un trend in salita. A una domanda precisa posta dal giornalista Lorenzo Buccella – In Ucraina c’è chi chiede il coraggio della resa, della bandiera bianca. Ma altri dicono che così si legittimerebbe il più forte. Cosa pensa? – la risposta è coerente:

«È un’interpretazione. Ma credo che è più forte quello che vede la situazione, pensa al popolo e ha il coraggio della bandiera bianca e negoziare. E oggi si può negoziare con l’aiuto delle potenze internazionali. Ci sono. Quella parola “negoziare” è una parola coraggiosa… Negoziare in tempo, cercare qualche Paese che faccia da mediatore. Oggi, per esempio con la guerra in Ucraina, ci sono tanti che vogliono fare da mediatore. La Turchia, per esempio … Non avere vergogna di negoziare prima che la cosa sia peggio»

Parole testuali, tradotte dal parlato, che potete leggere su Vatican News.

Ovviamente trattasi di operazione mediatica: per RSI che ha fatto uscire ad hoc alcuni stralci dell’intervista (farà sicuramente il botto!) e per Bergoglio che ha sdoganato, dopo due anni di inutili richieste e pressioni, la necessità impellente di porre fine a un conflitto che ha causato diecimila morti civili di cui 577 bambini senza contare i soldati caduti, di cui si possono fare solo stime, 30mila tra gli ucraini e 60mila, secondo fonti inglesi, tra i russi. Centomila morti…

Zelensky ha risposto duramente:

«Ringrazio ogni cappellano ucraino che è nell’esercito, nelle Forze di Difesa. Sono in prima linea, proteggendo la vita e l’umanità, sostenendo con la preghiera, il dialogo e le azioni. Questo è ciò che è la Chiesa: sta insieme alle persone, non da qualche parte, a duemilacinquecento chilometri di distanza, mediando virtualmente tra qualcuno che vuole vivere e qualcuno che vuole distruggerti»

Si torna alla domanda iniziale: cosa poteva dire di diverso il capo della chiesa cattolica romana? Perché di questo si tratta: bisogna porre fine a una guerra causata, come ha precisato lo stesso Bergoglio, dalla Russia, divenuta ormai una poltiglia indistinta di fango, corpi, armi, denaro, potere e morte. E le responsabilità affogano in questo gigantesco pastone magmatico. Il concetto è difficile da capire per chi vede tutto bianco o tutto nero, soprattutto in Italia dove si è abituati a parteggiare per uno o per l’altro acriticamente, come se tutto si riducesse a “banale” tifo calcistico.

Ciò vale anche per quello che sta succedendo tra Israele e Hamas. Come trovare una bussola per orientarsi su quanto sta accadendo fra Israele e Palestina? chiede il giornalista:

«Dobbiamo andare avanti. Tutti i giorni alle sette del pomeriggio chiamo la parrocchia di Gaza. Seicento persone vivono lì e raccontano cosa vedono: è una guerra. E la guerra la fanno due, non uno. I responsabili sono questi due che fanno la guerra. Poi non c’è solo la guerra militare, c’è la “guerra-guerrigliera”, diciamo così, di Hamas, per esempio, un movimento che non è un esercito. È una brutta cosa»

Il cardinale Parolin, potente Segretario di Stato vaticano, uomo vicinissimo a Bergoglio, intervistato da Gian Guido Vecchi del Corriere della Sera oggi in edicola, difende il papa. Lo fa correggendo, limando, interpretando. La sensazione è che cerchi di mettere una toppa alla franchezza bergogliana: «È ovvio che la prima condizione» per un negoziato che porti alla fine della guerra sia il «mettere fine all’aggressione», sostiene l’alto prelato. Che spiega:

«Trattandosi di decisioni che dipendono dalla volontà umana, rimane sempre la possibilità di arrivare a una soluzione diplomatica. La guerra scatenata contro l’Ucraina non è l’effetto di una calamità naturale incontrollabile ma della sola libertà umana, e la stessa volontà umana che ha causato questa tragedia ha anche la possibilità e la responsabilità di intraprendere passi per mettervi fine e aprire la strada a una soluzione diplomatica»

È la bandiera bianca che sventola sul ponte, il minima immoralia di Franco Battiato: l’umanità è arrivata a un punto di non ritorno, la resa non è sottomissione ma l’ultimo atto di estremo coraggio in un conflitto che da tempo Bergoglio definisce Terza Guerra Mondiale.