Scenari

Giuseppe Russo: imprese

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di Giuseppe Russo (Direttore Centro Studi Einaudi)

Il 2023 si sta avvicinando. Non rimpiangeremo troppo l’anno di calendario che sostituirà. La guerra, l’inflazione, la crisi energetica assieme al rialzo dei tassi di interesse e quindi del costo del denaro si sono abbattuti sull’economia europea. Eppure, ci saremmo aspettati che il solito “vaso di coccio” della nostra economia avrebbe avuto la peggio. Non è stato così.

Alla fine dell’anno, dopo tre trimestri, la crescita acquisita del Pil è stata del +3,9%, superiore a quella di qualsiasi Paese europeo, superiore alla crescita degli Stati Uniti e del Giappone. Sono numeri molto significativi, non solo perché positivi, ma anche perché l’impatto del Pnrr nel 2022 è stato di appena 15 miliardi, ossia meno di tre quarti di punto di Pil nominale.

L’economia italiana si è rivelata resiliente a una crisi multifattoriale che condurrà la Germania in recessione nel 2023 (-0,5% la stima della Bundesbank), prima ancora di entrare nel vivo del suo piano post pandemico, progettato per renderla resiliente. I fattori che hanno determinato la nostra resistenza non sono così sconosciuti: la tradizionale parsimonia delle famiglie e delle imprese, che hanno aumentato il risparmio nei tempi difficili ed adesso hanno i mezzi per fare le spese e gli investimenti arretrati. Il risveglio del settore delle costruzioni private non è stato solo legato alla congiuntura dei bonus, ma risponde a una precisa e consolidata scelta di allocazione in ricchezza reale dei risparmi.

Infine, buona parte della ripresa nel 2022 è dovuta alla proverbiale flessibilità dell’economia italiana. Un Paese con molte piccole imprese resta indietro nelle fasi di espansione, quando è cruciale la dimensione delle aziende per la realizzazione di costosi programmi di ricerca e sviluppo e per l’occupazione rapida degli spazi nei nuovi mercati. Invece, durante le fasi di difficoltà globale, le imprese piccole e medie aziende adattano più rapidamente i loro costi ai ricavi; convertono più facilmente la produzione; adottano più agilmente le innovazioni; sono più rapide a cercare nuovi mercati esteri nonché a trovarli.

Un Paese fatto di 206mila Pmi e da famiglie risparmiatrici consegue un vantaggio di resilienza e di capacità di reazione nelle crisi. Non è un vantaggio da poco, in tempi di crisi internazionali che si rincorrono l’una dietro l’altra. Converrà però imbastire il 2023 senza crogiolarsi eccessivamente nella pur giusta soddisfazione per la crescita acquisita. Le piccole e medie imprese hanno pur sempre i propri limiti da superare e i momenti nei quali l’economia dei colossi, come si vede dal calo delle Borse, tende a caracollare e a ristagnare, sono quelli ideali per cercare di recuperare gli svantaggi competitivi.

Ci permettiamo di suggerire sommessamente tre strade, che potrebbe essere proficuo esplorare e percorrere.

  1. Primo: la ripresa del Pil attraverso la crescita del Valore Aggiunto delle Pmi metterà più risorse a disposizione dei loro manager finanziari. Si dovrebbe pensare a distribuirne il minimo, mentre le nuove risorse create potrebbero essere usate sia per consolidare la situazione patrimoniale che si era erosa durante la pandemia, sia a finanziare nuovi investimenti, approfittando che il rallentamento degli investimenti nel resto dell’Europa potrebbe generare condizioni vantaggiose proprio per i piccoli e medi investimenti.
  2. In secondo luogo, se la produttività parziale del capitale è un limite delle Pmi, queste ultime potrebbero investire più decisamente sulle competenze e nella formazione continua delle risorse umane. La potenziale sorpresa dei prossimi anni non sarà lo spiazzamento dei robot, ma sarà una relativa scarsità del capitale umano più abile e professionale. Occorrerà formarlo e trattenerlo nelle Pmi creando un habitat di carriere interessanti. È una sfida di sicuro, ma la competitività fatta dal basso costo del lavoro non ha più spazio: la competitività si crea con una forza lavoro migliore.
  3. Terzo: il limite maggiore delle Pmi italiane è l’eccessivo peso che in esse ha il segmento di quelle con meno di 10 addetti. L’esperienza storica mostra che il periodo più favorevole alle combinazioni, alle fusioni e acquisizioni, è quello nel quale c’è un aumento dei fatturati. Non attendiamo quindi che il ciclo torni ad essere negativo anche per noi, ma muoviamoci con anticipo. Ci sono molti tipi di accordi che potrebbero dare una marcia in più alle micro Pmi italiane, facendole crescere: quelle con start-up tecnologiche, per incorporare l’innovazione; quelle con partner locali per abbassare i costi; quelle con partner verticali, per realizzare economie di integrazione e quelle con partner commerciali, per acquisire quote di mercato.

Il 2022 è stato un anno orribile per l’economia globale, ma positivo per l’economia reale italiana e per molte sue Pmi. Ora si tratta di non perdere lo slancio acquisito e affrontare il 2023 non come il proseguimento del 2022, ma come un anno nel quale fare cambiamenti per ritrovarsi, alla fine, davvero con una marcia in più e ancora in testa nelle classifiche sulla crescita.