Scenari

Imprese italiane perno dell’industria della Difesa

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di Chiara Giannini

Con la guerra tra Russia e Ucraina, ma anche con l’innalzamento del rischio di nuovi conflitti nelle aree orientali del mondo (vedi Taiwan) o nei Paesi africani con l’avanzare della minaccia terroristica, la Difesa sta acquisendo un’importanza di grande rilievo. In questo contesto le piccole e medie imprese del settore si inquadrano come tassello fondamentale per la risoluzione di problemi di breve e lunga durata, tra opportunità e difficoltà.

«Le PMI italiane – spiega Anna Bonfrisco, l’europarlamentare del gruppo Id-Lega, membro della commissione Difesa al Parlamento europeo e nella delegazione Europa Nato – sono molto importanti. Pensate che l’Europa, per il periodo 2021-2027, ha destinato alla Difesa fondi per 8 bilioni di euro (di cui 5,3 per lo sviluppo di progetti e 2,7 per la ricerca). Alla luce del nuovo quadro geopolitico che costituisce per l’Italia una minaccia, ma anche un’opportunità, il ruolo delle piccole medie imprese è e sarà sempre più importante, soprattutto quelle che potranno, in virtù della loro misura, riuscire a investire soprattutto sulle innovazioni formidabili di questi anni dell’intelligenza artificiale».

Le aziende italiane nel contesto europeo pesano moltissimo perché, spiega ancora Bonfrisco «i principali attori della Difesa europea vedono Francia, Italia e Germania tra i grandi motori di questa industria di tecnologia, ma anche di grandi competenze di capitale umano che resta sempre il nostro principale valore aggiunto». Insomma, non parliamo solo di macchine, ma anche della capacità dei nostri cervelli e dei nostri manager di essere sempre all’avanguardia.

Pensiamo – tiene a dire l’europarlamentare – al fatto che la stazione spaziale internazionale ha una buona parte realizzata proprio dalle imprese italiane.

Il generale Giuseppe Morabito della Nato Defence college Foundation sottolinea che l’area cyber è «in questo momento quella più interessata, perché si possono sviluppare dei programmi utili al sistema. Tra le tante cose anche visori, caschi, materiale di nicchia che spesso non rientra nella grande produzione industriale. Sicuramente – prosegue – il rapporto con la grande industria delle piccole medie imprese è importante perché la prima sa come gestire i rapporti con la Difesa e può snellire le procedure. Ma servono più investimenti. Se ci fossero più soldi e si arrivasse al 2% del Pil come auspicato anche dalla Nato anche le Pmi avrebbero possibilità maggiori».

Sulla stessa linea il generale Giorgio Battisti (riserva), membro del Comitato atlantico italiano chiarisce che «la guerra in Ucraina ha fatto riemergere il problema di un’industria della Difesa che sia in grado di sostenere con la produzione questi conflitti convenzionali in un territorio vicino all’Europa che nessuno pensava potessero avvenire. Ciò ha consentito di passare da un’industria che, come è stato detto anche dal presidente francese Macron, sia “bellica di pace” a un’industria più aderente alle esigenze della Difesa secondo le situazioni che si possono manifestare in varie parti del mondo».

Munizioni Il conflitto ucraino ha dimostrato quanto fossero importanti i rifornimenti e la disponibilità soprattutto di munizioni. «Le missioni di peace keeping – dice ancora il generale Battisti – ci hanno insegnato come i colpi che gli americani sparavano in un mese in Afghanistan adesso vengono sparati in meno di mezza giornata. Quindi questo ha riposto l’attenzione verso un’industria della Difesa che sia pronta a produrre più velocemente, anche in considerazione di altre possibili crisi internazionali. Serve quindi un maggiore collegamento tra autorità governative, Difesa e industria in modo tale che tutte e tre queste entità procedano a una sorta di fusione».

Nel summit del Galles del 2014 era stato deciso in piena condivisione dai Paesi dell’Alleanza di portare il Pil al 2% entro questi anni. L’Italia è ancora indietro rispetto ad altre nazioni. Serve un segno concreto. Lo sanno bene gli attori sul campo.

Salvatore Tafuro, presidente di RI group, Pmi con sede a Trepuzzi, nel Leccese, ovvero l’azienda che ha realizzato quasi tutte le basi militari italiane, soluzioni modulari e ospedali da campo, racconta come questo settore «continui a reggere nonostante le variazioni fluttuanti del mercato». L’imprenditore partì nel 1973 con una piccola bottega artigiana di carpenteria metallica realizzata in un terreno del suocero.

«Ebbi l’opportunità di lavorare in Albania – chiarisce – dove riuscii a portare forza lavoro. Erano i tempi dell’operazione Pellicano e poi della Alba. Ci fu quindi la guerra in Kosovo e arrivarono i primi contratti con la Difesa. Le prime basi militari le abbiamo fatte in ex Jugoslavia, a Sarajevo e poi, dopo la caduta delle piramidi economiche in Albania, arrivò la brigata Sassari a Valona e noi fornimmo il supporto necessario». L’ultima base in corso di realizzazione è quella in Niger, nodo fondamentale anche per il blocco dei flussi migratori. E poi progetti importanti riguardano l’Egitto, con la Difesa di quel Paese e gli ospedali da campo, per cui si sta lavorando anche per l’inserimento nel civile.

«Che serve per lavorare bene con la Difesa? Serietà – tiene a dire Tafuro – e stare al passo delle esigenze per supportare i militari». Queste PMI spesso devono passare dalle grandi industrie per poter lavorare. È il caso di Leonardo, Fincantieri, Iveco. «Collaborazioni – spiega Tafuro – fondamentali. Spesso noi piccole e medie aziende risolviamo problemi di nicchia. Non ci lamentiamo di questo, anzi, il rapporto è ottimo. Solo, a volte, servirebbe un contatto più diretto tra Pmi e uffici della Difesa».

Industria della Difesa Un problema riscontrato anche da Maurizio Castrati, amministratore unico di Mech Lab, azienda di Prato fondata nel 2011 che si occupa di sviluppo, ingegnerizzazione e prototipazione nell’ambito delle protezioni balistiche individuali e di tecnologie esoscheletriche. «I nostri clienti principali – racconta – sono direttamente la Difesa e Leonardo. Avere anche un rapporto diretto in certi frangenti è molto positivo. Sicuramente un intermediario risolve passaggi complessi e dà vantaggi di crescita. Per i piccoli contratti è più importante che le aziende vadano direttamente alla Difesa».

Anche se, per Castrati «se si volesse fare un’analisi leggermente critica, c’è poca comunicazione tra i vari uffici delle Forze armate. Ma sono due facce della stessa medaglia. Spesso si parla del problema della burocrazia che rallenta un po’ tutti i meccanismi. Io l’ho sempre denigrata, finché un giorno un generale mi disse che la burocrazia è garanzia di legalità e capii il meccanismo».

Maurizio Minghelli, ceo di Astim, PMI che si occupa di sistemi radar e sonar, payload elettro-ottici e laser, sistemi per telecomunicazioni cablati, radio o satellitari, e quelli per il contrasto alle minacce di tipo Nucleare-Biologico-Chimico-Radiologico, racconta che «le piccole medie imprese hanno la doppia capacità di essere prime contractor piuttosto che terzisti. Con il cappello da presidente delle PMI di Confindustria Emilia Romagna – dice ancora – posso dire che le piccole medie imprese sono fondamentali anche perché il tessuto imprenditoriale italiano a stragrande maggioranza è costituito dalle stesse».

Con 34 assunti all’attivo, l’azienda, che ha contratti diretti con la Difesa, è in forte crescita grazie al programma di realizzazione della parte di navigazione e combattimento dei mezzi organici di nave Trieste e che è coinvolta nei programma dei 36 veicoli blindati anfibi della Marina militare italiana e punta ad arrivare a oltre 100 impiegati entro il prossimo decennio.

«Noi – prosegue Minghelli – abbiamo relazioni sostanzialmente dirette, anche se ci capita di vendere attraverso Fincantieri, Leonardo o Iveco. La burocrazia quando lavoravamo ai livelli di piccola azienda era certamente un problema. Oggi riscontriamo che, soprattutto con l’estero, è spesso difficile far capire i ritardi dovuti a questa burocrazia. Ci siamo comunque dovuti strutturare per far fronte alle esigenze di questo mercato. Devo dire, però che se un prodotto è forte in ogni Paese Nato il problema si risolve in modo automatico. Certo che se ci fosse uno snellimento sarebbe auspicabile, anche se, diciamola tutta, in fondo chi lavora bene poi non presenta difficoltà».