Scenari

Matteo Bassetti: Covid

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di Matteo Bassetti (Direttore Reparto Malattie Infettive policlinico San Martino Genova)

Una tempesta perfetta. Da una parte l’influenza ritornata prepotentemente (l’uso delle mascherine per tre anni ha allenato molto meno il nostro sistema immunitario), dall’altra un Covid sempre presente più per la parte burocratica e gestionale che non clinica, che ci ha disturbato parecchio la vita.

Se tutti avessero seguito gli inviti dei medici fin dall’agosto scorso, perché si sapeva cosa stava succedendo in Australia, probabilmente non saremmo a questo punto. Dopo tre anni in cui il Covid e i virus sono stati l’argomento del giorno, le persone non hanno ancora imparato la cultura della prevenzione.

Sanno come indossare la mascherina, ma questa è un tapullo, come diciamo noi a Genova, non il rimedio. In passato abbiamo creato la cultura della prevenzione del tumore, delle malattie metaboliche, del mangiar bene, dell’andare a fare la mammografia, il pap test, la colonscopia, pensando così di vivere 100 anni…

Ora che l’occhio di bue s’è acceso sulle malattie infettive, se esistono vaccini utili a prevenire le influenze, il Covid, l’herpes, il meningococco perché non se ne accetta la somministrazione, oltretutto in un Paese che le offre gratuitamente? Vengo al primo punto della questione: dobbiamo creare una nuova cultura vaccinale di prevenzione.

Sono convinto – e questo è il secondo punto, strettamente collegato al primo – che i picchi influenzali e i pochi vaccinati siano la conseguenza di un’informazione poco corretta. Tutti ricordiamo l’ultimo anno e mezzo, in cui il massimo del divertimento televisivo – e io purtroppo sono stato tirato dentro – era far dibattere i sì vax con i no vax, in modo paritetico.

Mettere Bassetti e Crisanti da una parte e due sciamannati dall’altra privi di qualsiasi competenza, dalla Schillirò a Toscano a Paragone, bravissimi a far altro ma non sicuramente bravi medici, ha instillato negli ascoltatori il dubbio che i vaccini non funzionino, provochino effetti collaterali, ci cambino i connotati, il DNA.

Nel 2023 vorrei vedere una migliore comunicazione istituzionale e un saper dire di no da parte della carta stampata e della televisione a chi veicola messaggi che nuocciono alla popolazione. Sull’informazione sanitaria è necessario un controllo più attento, un filtro.

In questi giorni mi sono scontrato in televisione con il vicedirettore della “Verità”: il suo giornale non ha fatto un buon servizio al Paese, è stato il quotidiano dei no vax. Se vuoi parlare seriamente di vaccini ti prendi un consulente scientifico, non dentisti od otorini… Crei un comitato scientifico che ti aiuti a fare informazione corretta. Se parlo di calcio mi rivolgo all’allenatore, all’ex giocatore, a chi ne sa, non certo al tifoso. Qui abbiamo fatto il contrario, abbiamo dato la parola ai tifosi. Vorrei meno tifosi e più informazione scientifica.

Riusciremo a ritrovare la normalità? Ci dobbiamo arrivare, ci arriveremo. Il ministro della Salute Schillaci è uomo molto posato, la persona giusta nel posto giusto. Ci stiamo tutti muovendo per far diventare il Covid un’infezione come tutte le altre. Quando avremo un paziente che entra in ospedale per una polmonite, oltre a cercare lo pneumococco, il virus influenzale, la klebsiella cercheremo anche il Covid. Lo abbiamo normalizzato, sulla sua strada il virus trova un’immunità spaventosa.

Mi auguro che nel 2023 si cambi anche la denominazione dei vaccini: non più quinta, sesta dose, ma semplicemente richiamo annuale per l’influenza e il Covid. Magari avremo un unico vaccino, o un puff nasale, con cui ci immunizzeremo per le nuove varianti.

Sono meno ottimista, invece, su tutto il resto delle malattie infettive. Se dovessi guardare al futuro vedo grandi problemi all’orizzonte. Uno su tutti, cercare di far sì che il seme dell’antiscienza non germogli. E purtroppo nel nostro Paese sta fiorendo pesantemente.

Come medici e infermieri abbiamo vissuto un anno e mezzo di luna di miele con la società. Da eroi siamo passati a essere presi letteralmente a sberle e a calci, non ci hanno ancora rinnovato il contratto di lavoro, guadagniamo meno che in ogni altra parte d’Europa. Siamo trattati alla stregua di un qualunque altro dipendente pubblico. Con tutto il rispetto, il medico è diverso. Oggi, fortuna per noi medici italiani, sfortuna per il Sistema sanitario nazionale, abbiamo tantissimo mercato, siamo riconosciuti e molto richiesti all’estero.

O il Ssn si saprà adeguare a un nuovo sistema, molto più concorrenziale, dove c’è il privato, il pubblico e anche l’estero o qui si rischia che nel giro di tre, quattro anni si finisca come negli Stati Uniti, dove il pubblico è per i poveri e la sanità moderna appannaggio dei ricchi, con i medici più bravi qui e di là i mediocri. Lavoro per il Ssn, insegno in un’università pubblica, sono ben contento di continuare a farlo ma non posso farlo in rimessa. Nella vicina Nizza il mio corrispettivo guadagna il doppio di me.

Quindi arrivo al terzo punto per il 2023: che questa legislatura, in modo bipartisan, abbia una visione comune su cosa si voglia fare del Sistema sanitario nazionale. A mio avviso, la riforma Bindi, con questa gestione un po’ socialista della salute, è stata l’inizio della fine del Ssn. Ci vuole un nuovo modo di pensare la salute mettendo al centro, ovviamente, il paziente ma un po’ più al centro anche l’operatore sanitario. Che tradotto vuol dire non solo risorse per il paziente ma anche per migliorare la qualità del lavoro dei medici e del personale infermieristico, intendo stipendi, orari, possibilità di carriera, meriti. Al governo c’è un partito che ha fatto della meritocrazia una bandiera, mi auguro che anche nella salute si cambi. Ma si cambi veramente.