Scenari

Ricerca aperta: gioco di squadra nella fucina dell’innovazione

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di Lorenza Resuli

La prima pietra sulla quale è stato edificato uno dei parchi tecnologici più grandi d’Italia appartiene appartiene a quella barriera infuocata che ancora oggi sbuca provocatoriamente dal grigio cemento dell’autostrada A4, a due passi da Bergamo.

Non un muro qualunque, ma simbolo di Kilometro Rosso e landmark per il territorio.

«L’idea del muro rosso nasce dalla passione di Alberto Bombassei per l’innovazione e dal suo desiderio di creare uno spazio dove aziende anche diverse potessero scambiarsi le idee con l’intento comune di innovare il processo produttivo» conferma Salvatore Majorana, chiamato dallo stesso patron di Brembo alla direzione nel 2017.

«Kilometro Rosso infatti è un parco scientifico di matrice privata e ancora oggi Alberto Bombassei ne è il titolare. All’inizio del 2000, è lui ad acquistare i terreni della zona ed è lui a decidere di ingaggiare la matita del noto architetto Jean Nouvel, che concepisce questa linea rossa lunga un kilometro che costeggia l’autostrada e che per tanto tempo è stata un’ottima quinta teatrale, dietro alla quale si stava costruendo un campus oggi capace di aggregare un’ottantina tra aziende e centri di ricerca e in cui lavorano 2.500 persone» prosegue Majorana.

Un campus di 400mila metri quadrati, in cui nel tempo hanno fatto il loro ingresso l’Istituto di ricerca farmaco- logico Mario Negri, Confindustria, l’Università, l’Istituto Italiano di Tecnologia e, nel 2022, l’Enea. Qui vige una sola parola d’ordine: innovazione. E un’unica regola: non ci sono regole. È il modello dell’“open innovation”, della logica aperta, la vera cifra di Ki- lometro Rosso. «Applichiamo questo modello a vari livelli, non soltanto alla parte più “tecnica” del nostro lavoro. Per esempio cerchiamo di coinvolgere le persone che lavorano nel campus con attività extra lavorative. Organiz- ziamo pranzi “ideas for lunch”, durante i quali ci si siede a tavola con chi capita per conoscersi, oppure “le cola- zioni da…”, in cui le aziende a turno offrono un breakfast a tutti gli ospiti del campus, raccontando quello che fanno davanti a cornetto e cappuccino. Stare dentro il campus significa conoscersi dal punto di vista tecnologico, ma an- che creare occasioni di confronto informali, dalle quali spesso nascono le idee migliori».

Aziende, laboratori, università, centri di ricerca, istituti, cioè pubblico e privato insieme… appassionatamente?

«Credo che tutti gli attori in gioco abbiano finalmente capito che unire le forze dà maggiori risultati piuttosto che inseguire i propri sogni da soli. Il fatto che il campus ospiti l’università pubblica, l’IIT e l’Enea accanto a molte aziende private rappresenta un’opportunità nuova. Ed è forse uno degli elementi che cattura l’attenzione quando si arriva a Kilometro Rosso. Ma un conto è condividere lo spazio, un altro è incontrarsi e riuscire a parlare la stessa lingua. Noi abbiamo una squadra ad hoc, il team degli Innovation Services, che individua i sogni nel cassetto e i mal di pancia delle aziende e che poi si rivolge al comparto della ricerca per capire se può offrire soluzioni ad hoc. Quando c’è un varco, creiamo le condizioni perché imprese e ricerca si incontrino e si parlino. Cerchiamo poi di coinvolgere gli enti finanziatori che accelerano gli scambi, visto che spesso le aziende piccole e medie hanno grandi sogni, ma pochi mezzi per realizzarli. La nostra capacità è far comunicare realtà che parlano lingue diverse. Io stesso mi definisco “mediatore culturale”» racconta Salvatore Majorana.

Le sue parole hanno acceso la mia curiosità e a questo punto chiedo al direttore un esempio concreto di un progetto nato grazie all’Open Innovation. Non ci pensa neanche un secondo: ne potrebbe citare decine.

«Un giorno un signore che produce freni e che ha bisogno di sviluppare un materiale nuovo per fare la pastiglia frenante chiacchiera per caso con un altro signore che produce cemento e che gli butta lì: “Perché non la facciamo in cemento?”. L’idea ha del potenziale e organizziamo subito un tavolo di lavoro. Il signore dei freni era della Brembo e il signore del cemento di Italcementi: dal loro incontro alla macchinetta del caffè è nata la possibilità di creare una nuova pastiglia frenante meno inquinante di quelle convenzionali. Come prosegue la storia? Avevamo bisogno di effettuare le analisi tossicologiche ed è stato coinvolto il Mario Negri. Avevamo bisogno di finanziamenti e li abbiamo chiesti all’Unione europea. Tre anni dopo è nata la pastiglia frenante fatta di pasta cementizia modificata. Un nuovo prodotto creato da un gruppo, dove nessuna delle parti avrebbe mai immaginato di lavorare con le altre. Certo, poi la nuova idea è rimasta chiusa nel cassetto per anni perché le case automobilistiche non pensavano ancora alla sostenibilità. Fino a Greta Thunberg. E l’anno scorso un’azienda ha chiesto una pastiglia frenante più sostenibile. Abbiamo aperto il famoso cassetto e tirato fuori l’idea già pronta. L’azienda l’ha testata e probabilmente arriverà sul mercato una nuova pastiglia che non sarebbe mai nata se due signori non si fossero presi un caffè insieme in quello strano luogo che è Kilometro Rosso».

Qui la protagonista della storia è un’idea geniale nata per caso. E se il protagonista fosse un progetto nato dall’in- terazione tra settori diversi? «Mi piace citare quello di una startup insediata qui da noi, la BGreen Technologies, che sviluppa microalghe e funghi per creare vari prodotti. Nel corso di una chiacchierata con Albini Next, il centro di ricerca dell’Albini Group che produce cotone di alta qualità, nasce una riflessione su come la ricerca di nuovi modelli operativi a basso impatto am- bientale per il tessile possa incrociare soluzioni per tingere i tessuti basate sull’uso dei funghi. Avviamo il progetto e oggi supportiamo Albini nella valuta- zione di una tintura biocompatibile e biodegradabile sviluppata dalla BGre- en Technologies. La piccola azienda, accompagnata dalla grande azienda, intercetta un bisogno del mercato e in- sieme crescono entrambe».

Idee, progetti, incontri fortuiti e fortunati. E brevetti. Tanti, oltre 750 depositati dalle aziende del campus. Un esempio diventato famoso? «È quello che nasce dalla collaborazione tra Petroceramics e Brembo. Petroceramics è uno dei primi spin-off dell’Università degli Studi di Milano: due geologi bergamaschi che avevano studiato lì decidono di fare impresa. Nel loro percorso incontrano la Brembo, per la quale iniziano a sviluppare materiali resistenti che diventano poi la base dei dischi carboceramici, usati nel contesto di altissime prestazioni perché ultraleggeri e capaci di sopportare temperature elevate, tanto è vero che il carbonio domina nelle macchine di Formula 1. Quella tra Petroceramics e Brembo è una storia d’amore che dura da 15 anni» sorride Majorana.

L’idea che diventa business a Kilometro Rosso ha un sapore quasi poetico, ma una struttura così complessa come si finanzia?

«Il modello di business è fondato su tre pilastri. Prima di tutto abbiamo molti spazi da affittare o vendere. Il secondo è la nostra rete di ser- vizi per agevolare l’innovazione. Infine abbiamo un grande socio, la famiglia Bombassei, che quando non riusciamo ad arrivarci.. vede e provvede» risponde il direttore.

E le sovvenzioni pubbliche? E i famosi soldi del Pnrr?

«Per tanto tempo le istituzioni pubbliche ci hanno ignorato. Oggi si sono accorte che esistiamo e che cambiamo la vita di questo territorio, ma fino a ora non abbiamo avuto sostegni governativi. In assenza di risposte, Alberto Bombassei ha continuato a intervenire di tasca sua. E per chi pensasse che si tratta di un’operazione di grande ritorno finanziario, ebbene, non lo è. Bombassei continua a investire perché ci crede e per l’enorme ritorno economico sul territorio. Quanto al Pnrr, sarò molto chiaro: non siamo nell’agenda dei governi. Quando ci sono stati i soldi da destinare al trasferimento tecnologico, cioè la nostra principale missione, non sono quasi mai arrivati ai parchi scientifici. Certo ancora qualcosa da mettere sul tavolo c’è ancora, ma per il momento…».

Quali risultati ha raggiunto Salvatore Majorana e in quale direzione sta portando Kilometro Rosso?

«Quando sono arrivato avevo bisogno di vedere più scienza e tecnologia nel parco e abbiamo aumentato la presenza dei centri di ricerca. Bisognava incrementare il numero delle imprese aggregate e c’è stata una crescita costante, tanto che a luglio apriamo il nuovo spazio di 13mila mq. Avevamo bisogno di entrare nel mondo delle startup e abbiamo creato un fondo di investimento ad hoc. Abbiamo posizionato Kilometro Rosso come elemento centrale sui temi più rilevanti per il territorio, la cyber security e la robotica, che sono nel futuro di ogni sistema industriale. Il prossimo traguardo? Essere riconosciuti come anelli della filiera dell’innovazione. Se ci riusciremo, il pubblico potrà mettere energia in un comparto che fa da collegamento a due miniere d’oro: una ricerca scientifica pazzesca e un’industria straordinaria. Insomma, vorrei portare Kilometro Rosso nel gruppo che guida il cambiamento di questo Paese».

Parola di Salvatore Majorana (sì, è il pronipote del fisico Ettore Majorana, il più geniale dei “ragazzi di via Panisperna”).