Scenari

Sam Mouazin: Medio Oriente

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di Sam Mouazin (Giornalista e autore italo-siriano. Vicepresidente Associazione Addar, esperto di geopolitica mediorientale)

Se vogliamo dare senso alle condizioni in cui si troverà il Medio Oriente prossimamente, non possiamo che inseguire le tracce della contaminante voglia di ribellione che continua a svilupparsi nelle coscienze delle nuove generazioni di quell’area geografica, dopo le ripetute delusioni delle Primavere Arabe, e le loro drammatiche conseguenze sull’Europa in termini di flussi migratori.

Sebbene non sia un paese arabo, come molti erroneamente pensano, e nonostante l’ampio dissenso delle maggioranze sunnite arabe per le sue interferenze in quell’area, l’Iran è sempre stato legato al Medio Oriente arabo, per ragioni politiche, religiose, economiche e storico-culturali, ancora prima della dirompente espansione araba-islamica in Persia (638-644 d.C) e il conseguente collasso dello Stato sasanide, fiero avversario per secoli di Roma ai tempi dell’impero. La ribellione popolare in atto inverte il corso che la storia del Paese aveva preso a partire dalla rivoluzione iraniana del 1978-79. A innalzarla, avanzano le nuove generazioni: nipotini degli studenti e delle donne che hanno vissuto il tramonto dello Shah durante la sua impresa all’insegna della modernizzazione, e che l’ascesa della teocrazia sciita aveva non solo interrotto, ma soprattutto combattuto, combatte e combatterà, con forza e determinazione. Paradossalmente, l’inversione vuole che quegli studenti e donne, siano gli stessi che avevano fatto fuori lo Shah, all’epoca.

Nel suo libro “La Rivoluzione Iraniana” (Herron Printing & Graphics, USA, 1981) l’ambasciatore Claudio Pacifico, all’epoca il console d’Italia che ebbe la responsabilità di organizzare le operazioni di evacuazione dei nostri connazionali, aveva sostenuto che il nuovo regime degli Ayatollah era oscurantista e sanguinario e che, prima o poi, avrebbe dovuto fare i conti con la Storia e la modernità. Ma gli intellettuali occidentali di allora e i soliti media democratici mainstream, erano impegnati ad applaudire Khomeini come “il nuovo che avanza” (con l’ennesimo errore di valutazione). E dunque, la sua tesi era stata sostanzialmente ignorata.

Non sarà certamente facile sradicare la teocrazia sciita, anche perché tradizionalmente esistono vari Iran: quello degli studenti e delle città; quello delle minoranze dei Curdi, a occidente, e dei Beluci, a oriente (tutti contro il regime dei mullah); ma esiste soprattutto l’Iran profondo della popolazione dell’interno, religiosa e conservatrice che, istintivamente, sostiene la teocrazia, e piange con dolore la scomparsa dei suoi martiri, uccisi programmaticamente negli ultimi anni, sia dai ripetuti raid israeliani in Siria, con l’intento di spuntare le crescite iraniane ormai ovunque in Medio Oriente, sia per l’esecuzione delle loro eccellenze, come il generale Qassem Soleimani, in Iraq, eliminato per mano dell’amministrazione Trump nel 2019. Senza dimenticare lo sfacciato attentato allo scienziato nucleare iraniano Moshen Fakhrizad (il quinto finora) con una Mission impossible architettata dal Mossad, nel cuore della capitale iraniana. Forse erano i più grande favori che i due alleati potessero fare al loro “nemico” storico, l’Iran. Era proprio quello che ci voleva: il malcontento e le manifestazioni non potranno essere oppressi per sempre e la crisi economica che aveva messo in ginocchio il Paese non doveva durare; di fatto, serviva un incidente che aiutasse a portare questi fatti in secondo piano…

Si tratta dello stesso popolo delle strade, che gli Ayatollah hanno sempre saputo arruolare benissimo quando serviva, e del quale si udivano le urla, quel gelido mattino del gennaio 1979, fuori dal perimetro dell’aeroporto di Mehrabad, mentre lo Shah Mohamad Reza Pahlavi si preparava a partire per l’esilio: «Mardeh Shah… Mardeh Shah… Morte allo Shah». Nel suo libro, ricorda Pacifico, un semplice poliziotto si gettò ai piedi del suo Shah, e volle baciargli la mano e lo Shah che per un riflesso condizionato, voleva apparire, sino alla fine, altero e regale, non era riuscito a trattenere le lacrime.

Oggi si spera di ritornare ai diritti della società laica. L’inversione di marcia, che ha dato i suoi segnali in vari modi negli ultimi anni, si spera possa finalmente completarsi in quella zona del mondo. Ma la classe dirigente di Teheran, posseduta da un’inquietante volontà decisionale, si permette di colpire chiunque e ovunque, sotto gli occhi di tutti. Dopo i siti di Aramco nel cuore dell’Arabia Saudita, la Repubblica Islamica manda oggi i suoi droni, telecomandati dai russi, anche su Kiev. Si è ritagliata una posizione di rilievo all’interno della scena internazionale – grazie anche alla telenovela del suo dossier nucleare, che ognuno tenta di spolverare al momento del bisogno – affiancandosi al Blocco Orientale consolidato sotto la guida della forza economica cinese e di quella bellica russa, le due principali potenze attualmente in contrasto con il nemico statunitense. Nemico per dire. Anche perché quel nemico aveva consegnato all’Iran l’Iraq su un piatto d’argento, dopo i lunghi anni di combattimento contro Saddam. Nemico al quale, fino a oggi, conveniva la sopravvivenza dell’Iran per vendere armi ai Paesi del Golfo, tenendo, però, con l’altra mano, accese le rotative occidentali per pubblicare l’ultima notizia sulle rimostranze femminili iraniane e sulle manifestazioni di dissenso di massa durante il mondiale in Qatar.

Assisteremo molto presto a un ritorno al bipolarismo, addirittura al multipolarismo, a un nuovo ordine mondiale determinato dal prolungamento della guerra in Ucraina, se l’Europa non inizierà a riassumersi la propria responsabilità.

Un segnale importante lo mostrano gli ultimi incidenti del Kossovo, ai quali l’Europa non aveva fatto caso. Ovvietà che sarebbe stato importante prendere in considerazione in quanto focolaio che conserva i rancori serbi ereditati dallo scontro diretto con la stessa Nato, nel cuore dell’Europa, e con tutto ciò che consegue in termini di flussi migratori, che l’Europa sola andrà ad affrontare e subire, e per vicinanza, l’Italia in primis; focolaio che il Presidente Putin non vede l’ora di accendere.