Sostenibilità

Cotone bio 100%: «lo sporco lo mangiano i nostri batteri»

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di Pascale Mattei

Emissioni di CO2, acqua, microplastiche… La moda è riconosciuta come una delle industrie più inquinanti al mondo. Mentre la maggior parte dei gruppi del lusso sta affrontando il problema con decisione, gli attori a monte del settore, in particolare le filature, lavorano da anni in background per sviluppare soluzioni sostenibili e ridurre il loro impatto ambientale. Iafil, Industria Ambrosiana Filati, è una di queste. L’azienda milanese, nota a livello internazionale per la qualità dei suoi cotoni, ha brevettato all’inizio dell’anno Purowashing®, una tecnologia che consente di riutilizzare più volte l’acqua di lavaggio. «Lo usiamo da due anni per i nostri campioni e non abbiamo mai cambiato l’acqua, aggiungendo solo il 4% dovuto all’evaporazione», dice Elena Salvaneschi, responsabile marketing che gestisce l’azienda insieme al fratello Stefano.
Inventato da Sergio Sala, direttore della sostenibilità della filatura, questo sistema di lavaggio integrato si basa sull’utilizzo del Biofilter®, un filtro pieno di colonie di batteri che si nutrono di rifiuti tessili: fibre animali e vegetali, oli, ma anche le microplastiche contenute nelle fibre sintetiche e che troppo spesso finiscono negli oceani. Per queste, che sono un vero problema, Iafil utilizza un batterio (sakaiensis) che è stato scoperto nel 2016 da uno studioso giapponese in alcune discariche di plastica. Questo batterio metabolizza le microplastiche che si degradano in 12 mesi, mentre nella natura la tempistica è di sette-ottocento anni. Una volta filtrata, purificata e rigenerata, l’acqua può essere riutilizzata per un nuovo ciclo di lavaggio.

Questa tecnologia, che può essere adattata a qualsiasi lavatrice industriale, prevede il lavaggio a freddo, senza sapone e ammorbidenti che uccidono i batteri. Questa tecnologia ha già conquistato un peso massimo nel settore della maglieria: l’azienda tunisina Tunicotex ha acquistato un maxi-filtro che le consente di riciclare i 100mila litri di acqua che utilizza ogni giorno. Una manna dal cielo in un Paese in cui il problema dell’acqua è molto sentito.
Ma anche altri sono in fila, soprattutto nel segmento del lusso, con i marchi del gruppo Kering e Chanel, che vuole adottarlo per uno dei suoi maglifici italiani. Tutti questi nuovi impianti sono in rete, controllabili e modificabili a distanza. Per Iafil, il prossimo step è di provare il sistema usando dei saponi vegetali che possono piacere ai batteri, evitando di ucciderli. Questa tecnica permetterebbe di avvicinare le piccole aziende, in particolare italiane, che hanno difficoltà ad abbandonare una cultura che vede il lavaggio connesso all’utilizzo del detersivo. Iafil ha iniziato questo progetto circa dieci anni fa. «All’epoca pensavamo che un prodotto bello e ben fatto non fosse più sufficiente – afferma Elena Salvaneschi – così abbiamo iniziato a proporre materie prime biologiche. I clienti sono stati attratti, ma poi utilizzavano trattamenti chimici che hanno ridotto l’aspetto biologico del prodotto. Iafil ha quindi cercato delle alternative per mantenere un filo organico lungo tutta la catena».

Nel 2017, l’azienda ha lanciato le Washingballs®, piccole sfere inserite nella lavatrice, che tramite un’azione magnetica e meccanica producono bicarbonato; l’anno successivo sono nate le Brushingballs®, sempre piccole sfere con punte di nylon che pettinano le fibre e svolgono così il ruolo di ammorbidente. Durante l’emergenza Covid questo sistema è stato migliorato con l’inserimento di molecole d’argento all’interno delle sfere, che ora lavano, ammorbidiscono e igienizzano. «Con Biofilter completiamo il ciclo di finissaggio» conclude Salvaneschi.