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Digitale, che cosa cambia con la stretta europea sui servizi delle sei Big Tech

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Molti utenti se ne saranno già accorti: basta per esempio entrare in Google digitando un indirizzo; fino a pochi giorni fa si apriva automaticamente l’app nativa di Maps, da oggi bisogna invece entrare prima in Google Maps e poi digitare un indirizzo. Questo perché la Ue ha preteso che nessuno abusi della propria posizione dominante penalizzando l’utilizzo delle applicazioni digitali di altri fornitori di servizi di geolocalizzazione. Sono scattate da oggi le nuove regole europee per riequilibrare la concorrenza nei (giganteschi) mercati digitali dominati dalle Big Tech. Il DMA, Digital Markets Act, segue di qualche settimana l’entrata in vigore del DSA, Digital Services Act, una legge parallela operativa dallo scorso 17 febbraio e di cui avevamo scritto qui.

Alphabet, holding che controlla Google; Microsoft; Meta, la holding di Mark Zuckerberg che contiene Facebook e Instagram; Apple, Amazon e ByteDance, società cinese che possiede il social TikTok, sono da oggi le sei Big Tech alla prova della concorrenza. Alcuni primi effetti già si intravedono: dai nuovi modi per scaricare app su iPhone ai differenti risultati di ricerca su Google, altri si vedranno a breve: dalla possibilità di chattare con utenti di app diverse con un’interfaccia unificata – significa ad esempio lo stop alla “incomunicabilità” tra Whatsapp e Telegram – fino a un sistema operativo come Windows che permetterà di disinstallare le applicazioni di Microsoft pre-installate di cui si ritiene di non aver bisogno.

Le sanzioni per chi non rispetterà il DMA possono raggiungere il 10% del fatturato globale che raddoppiano al 20% in caso di recidiva, nei casi più estremi si può arrivare perfino alla sospensione dell’attività. C’è da dire che le modifiche messe in campo finora dai colossi digitali sono tecnicamente “proposte di adeguamento” alla normativa, che dovranno essere valutate dalla Commissione europea guidata da Margrethe Verstager:

«Quello che ci aspettiamo da loro è un cambiamento del comportamento»

ha detto la Commissaria Ue alla concorrenza. Non deve quindi sorprendere che per un completo assestamento delle novità si debbano attendere diversi mesi, nei quali le Big Tech venderanno cara la pelle in quello che gli addetti ai lavori già definiscono un braccio di ferro con l’Europa.

Bram Vranken, del think tank Corporate Europe Observatory, non è ottimista:

«Ancora oggi, a quasi otto anni dall’adozione del GDPR (la complessa ed elefantiaca legge sulla protezione dei dati varata dall’Ue), l’Unione fatica a garantire che Facebook rispetti la privacy di milioni di persone in Europa»

La prova? Bruxelles nel 2023 ha rifilato a Meta una multa da 1,2 miliardi di euro per violazioni della protezione dei dati. “Penso che ci saranno casi di mancato rispetto delle regole”, ha poi ammesso la Vestager, rassicurando subito dopo che l’Ue userà tutti gli strumenti disponibili per affrontarli.

Ricadono nel Digital Markets Act le sei cosiddette Big Tech e le loro piattaforme di servizi, tutte con un fatturato annuo all’interno dell’Unione europea di almeno 7,5 miliardi di euro negli ultimi tre anni, una valutazione di mercato superiore ai 75 miliardi, almeno 45 milioni di utenti mensili e 100mila utenti aziendali stabiliti nell’Ue. Si tratta di 22 piattaforme tra social network, sistemi operativi, browser, software per spazi pubblicitari, servizi di intermediazione (soprattutto di e-commerce, tra cui ovviamente Amazon) e messaggistica, oltre che a motori di ricerca e piattaforme di condivisione video (You Tube). A breve potrebbero ricadere nel pacchetto anche X, l’ex Twitter, e il portale di prenotazioni alberghiere Booking.

Cosa cambia e per chi

Tra quelle che hanno visto fin da subito gli effetti maggiori sicuramente c’è Apple: l’azienda di Cupertino è quella che ha conservato fino a questo punto il controllo più serrato sulla propria piattaforma e dovrà per forza allentarlo. Si parte dalla possibilità di consentire per la prima volta ai propri utenti europei di accedere agli store di app concorrenti, scegliere sistemi di pagamento alternativi e selezionare un browser predefinito diverso da quello di fabbrica Safari.

La Commissione è convinta inoltre che l’installazione di “default” di un motore di ricerca sia fortemente condizionante verso gli utenti e a tal proposito ricorda l’azione dell’Antitrust Usa contro Google e l’accordo siglato con la creatura di Jobs per rendere “Google search” il motore di ricerca di default sugli smartphone della mela morsicata. Il nodo dirimente in questo caso sono le commissioni: con l’apertura a store alternativi Apple non cancella comunque la commissione applicata agli sviluppatori.

I legali sguinzagliati da Tim Cook dichiarano che il piano è conforme alla legge e che il 99% degli sviluppatori europei ridurrà o manterrà le commissioni dovute, mentre esperti dell’antitrust europeo sono convinti che, con il DMA in vigore, una Big Six come Apple avrebbe l’obbligo di consentire ai creatori di app di vendere gratuitamente servizi e abbonamenti al di fuori delle sue maglie. Le autorità di regolamentazione europee daranno un parere sulla proposta di adeguamento di Apple al DMA solo dopo l’entrata in vigore di oggi. Se si aprisse un’indagine formale, Apple potrebbe finire in una nuova, lunga battaglia legale dopo quella che l’ha appena costretta a pagare 1,8 miliardi di euro, sanzione comminata dalla Commissione europea per comportamento anticoncorrenziale nel suo App Store (ne abbiamo parlato qui).

Meta: Facebook e Instagram (ma anche Tiktok) dovranno interrompere la pubblicità personalizzata ai minorenni. A nessun utente potrà più essere fatta vedere pubblicità sulla base di etnia, opinioni politiche e orientamento sessuale. Gli utenti di TikTok e Instagram potranno da ora scegliere di vedere i post senza i contenuti “suggeriti” da un algoritmo basato sui rispettivi dati personali. La holding di Zuckerberg ha anche introdotto un abbonamento per chi non vuole più vedere pubblicità (costo: 9,99 euro su web, 12,99 euro su smartphone); la Commissione europea ha aperto da qualche giorno un’indagine formale su questo provvedimento per verificarne la liceità. Meta consente adesso di limitare anche la condivisione di dati tra le sue piattaforme (Instagram, Facebook, Messenger, etc.) e sta modificando Whatsapp per consentire agli utenti di comunicare con quelli di altre app di chat, mantenendo la crittografia. In questo caso, però, è necessario che anche le altre app, come Telegram, condividano il meccanismo. Ma non è scontato visto che, a differenza di Meta, loro non sono soggetti al DMA.

I limiti sulla pubblicità personalizzata si estendono anche a Google. Tre sono le novità introdotte: il colosso digitale renderà meno visibili i propri servizi nei risultati di ricerca, offrendo quindi più spazio ai concorrenti. Analogamente, nei risultati di ricerca per categorie specifiche (per esempio voli e ristoranti) sarà garantito un maggiore collegamento ai siti concorrenti. Infine, gli utenti europei avranno la possibilità di limitare la condivisione di dati personali tra i servizi offerti da Google, tipo Chrome, Search e YouTube.

Microsoft sta introducendo modifiche al proprio sistema operativo Windows per rispettare il DMA: sarà permesso disinstallare tutte le proprie applicazioni dal sistema – anche quelle di Edge e Bing – aumentando la possibilità per i propri utenti di scegliere le app da mettere come default. Per quanto riguarda invece l’integrazione con l’intelligenza artificiale Copilot, in Europa le bocce sono ferme proprio a causa delle regole del DMA: Microsoft dovrà completare il processo di adeguamento.

Amazon si è impegnata a trattare tutti i suoi venditori in modo equo, a migliorare la visibilità dei prodotti dei rivali sulla propria piattaforma (una delle contestazioni Ue che hanno portato a due indagini) e a offrire ai venditori servizi di spedizione alternativi al proprio servizio Prime, con prezzi e tempi di consegna definiti “competitivi”.

Fatta la legge, trovato l’inganno, abbiamo già scritto in precedenza parlando di DSA. E infatti, proprio come nel caso del Digital Service Act, anche con il DMA il cerino passa in mano alle autorità di controllo, europee e nazionali, e alla loro capacità di far rispettare le regole. Cosa che è ancora tutta da vedere.

Anche i consumatori avranno una parte fondamentale nel successo o meno di questa iniziativa europea: la Commissione è ben preparata ai contenziosi legali (sul fronte DSA ci sono già in pista i ricorsi di Amazon e Zalando), ma lo sarà alle eventuali reazioni dei cittadini se questi giudicassero l’applicazione troppo complessa? Il DMA è stato salutato come un manifesto salvifico di norme antitrust a tutela dei consumatori. Dovessero bocciarlo proprio loro, la Commissione avrebbe davvero a che fare con una grana di non poco conto.