Finanza e Risparmio

Patto di Stabilità, causa di tutte le polemiche

Scritto il

di Attilio Geroni

Il Patto di crescita e stabilità rappresenta la pietra angolare della problematicità nei rapporti tra Italia e Unione europea. Il nostro Paese e i governi che si sono succeduti negli ultimi vent’anni, da quando cioè la moneta unica è divenuta una realtà fisica oltre che contabile, il 1° gennaio 2022, hanno sempre ritenuto troppo rigide le regole di bilancio fissate una prima volta con il Patto, entrato in vigore nel 1999.

Successive integrazioni, come il Six Pack nel 2011 e il Two Pack assieme al Fiscal Compact nel 2013, hanno reso il quadro normativo e regolamentare ancora più complicato accrescendo nel tempo l’insofferenza dell’Italia e di altri Paesi con debito elevato.

Il fatto che queste complesso di regole sia stato sospeso nel 2020 a causa dei contraccolpi economici e sociali della pandemia, ha diviso l’Europa in due scuole di pensiero. C’è chi vede nella sospensione una conferma della famosa stupidità evocata a suo tempo da Romano Prodi e chi, come la Germania e in genere i Paesi nordici, lo interpretano come un segnale positivo, di flessibilità.

Si sente comunque la necessità di riformarlo, anche in profondità, perché il ritorno del rigore di bilancio dopo la grande crisi debitoria del 2010-2012 è stato troppo repentino, con conseguenze negative per la crescita e l’occupazione nell’Eurozona.

La nuova proposta della Commissione, che è già oggetto di ampia, approfondita e vivace discussione tra gli Stati membri, mantiene i parametri originari (deficit entro il 3% del Pil e debito entro il 60%) ma stempera le rigidità del Fiscal Compact che in nome del pareggio di bilancio aveva introdotto l’obbligo, per i Paesi con un rapporto debito Pil superiore al 60%, la riduzione annuale di un ventesimo per centrare l’obiettivo.

I piani di rientro e consolidamento saranno in un certo senso “personalizzati” in base al livello di debito che classificherà tre gruppi di Paesi: quelli a debito basso (inferiore al 60% del Pil); Paesi a debito moderato (tra il 60 e il 90% del Pil); e a debito elevato, superiore al 90% (anche la Francia da anni rientra in quest’ultima categoria).

Il riferimento principale per il percorso di aggiustamento dovrebbe inoltre diventare la spesa netta primaria, cioè depurata di entrate discrezionali come l’aumento delle tasse, senza il calcolo degli interessi sul servizio del debito e senza eventuali misure particolari legate a una particolare congiuntura (sussidi di disoccupazione e altri ammortizzatori sociali). Il percorso di rientro potrà essere ancora più virtuoso e facilitato, con possibile allungamento da 4 a 7 anni, se il Paese effettuerà riforme e investimenti nella transizione verde e digitale e si dimostrerà che questi avranno un impatto positivo sul consolidamento fiscale.

Invariate, anzi inasprite, invece, le misure per far rispettare il conseguimento degli obiettivi concordati. Resta la procedura d’inflazione per deficit eccessivo e si aggiunge anche quella per debito eccessivo. La sanzione attuale, che non è mai stata comminata, è pari allo 0,2% del Pil, ma la Commissione suggerisce di applicarne altre, magari inferiori, per ottenere più facilmente l’assenso degli Stati membri.